Aree interne, cosa resta e cosa si può fare

Porca miseria, siamo cresciuti! Anche se non abbiamo speso un euro. E’ una efficace sintesi del videomessaggio di Fabrizio Barca, a conclusione del Forum sulle Aree Interne di Aliano. Una due-giorni che fortunatamente non si è svolta a suon di tweet e brevi messaggi spot del nuovo politichese. Del tipo #siriparte. La comunicazione, su temi complessi come lo sviluppo o lo spopolamento, si fa alla vecchia maniera. Con l’approfondimento, col confronto, con l’incontro tra esperienze.

Ma cosa resta di questo appuntamento? Per Barca e per gli altri la consapevolezza di aver creato un gruppo, quasi una federazione. Un gruppo composto da sindaci e funzionari che iniziano a capire il senso della strategia. Rovesciare le modalità di spesa dei fondi. Per le comunità la possibilità di decidere dal basso il proprio futuro. Perché, come si è detto velatamente e non, se la crisi delle aree interne è dovuta in gran parte a fenomeni esterni, è pur vero che le classi dirigenti di molte singole aree hanno letteralmente buttato al vento occasioni su occasioni; sprecando le risorse economiche che l’Europa ha messo a disposizione, innanzitutto. Come dire “anche le aree interne, intese come sindaci, presidenti di provincia o di regione, sono pienamente corresponsabili”. E allora il fatto che non sia ancora arrivato un euro, sulle decine di Comuni interessati dai progetti pilota, per il momento mette al riparo da nuovi sprechi fondati sui vecchi vizi del consenso locale.

Questo è quello che abbiamo capito, con i nostri limiti. Ed è anche la parte positiva del discorso sulle aree interne sviluppatosi in Basilicata. Parti negative non ne abbiamo avvertite. Ma abbiamo avvertito i dubbi e le paure. Quelle di chi vive nell’entroterra, quindi anche le nostre.

 

Abbiamo avvertito queste paure e in un certo senso le ha avvertite anche un Enrico Borghi, consigliere per le aree interne, soprattutto quando ha affrontato il rischio colonizzazione da parte delle multinazionali, dell’energia nello specifico. Che non vanno certo bandite dai territori, ma di sicuro limitate nella loro azione di conquista della terra. Armonizzare è la parola d’ordine quindi. E arriviamo a un punto dolente della strategia, un punto che ripetiamo ormai da oltre due anni, su ci sbattiamo letteralmente la testa da due anni. E’ un fatto che nella strategia non siano state messe delle protezioni o dei vincoli sui territori interessati. Né deroghe. Si dirà che queste protezioni esistono già, sono nelle Regioni o dello Stato. Vero. Si dirà che magari non rientra nella filosofia della strategia imporre una vocazione alla singola provincia, e che se una provincia vuol puntare sulle rinnovabili e non sull’agricoltura, beh è libera di procedere in questo senso. E ci siamo anche qui. Però, e ora ci poniamo da cittadini delle aree interne, è come se la squadra che ad Aliano è stata protagonista, insieme al Formez, venisse considerata molto meno potente e influente rispetto alle lobby. Troppo meno influente. Una squadra non ancora in grado di rallentare l’avanzata di nuovi colonizzatori.

Ed inoltre riesce ancora difficile far capire la strategia alle persone. Per questo, ed è l’invito prima di tutto a Fabrizio Barca, il padre della strategia se ci consente la definizione, sarebbe opportuno tornare nelle singole aree per far comprendere il percorso ad amministratori e cittadini ancora una volta. Lo si faccia insieme a loro, come già è successo in passato in un agriturismo sperduto di Morra De Sanctis. Diversamente i poteri locali che egli stesso ha criticato avranno gioco facile nel porsi ancora una volta come intermediari dei fondi. Perché tra il cash e un nuovo modo di pensare, molte persone sceglieranno di riporre ogni speranza nel cash. In ultimo, but non least, sarebbe auspicabile che questa nuova operazione di informazione sui progetti pilota, venisse intrapresa sui territori insieme ai livelli regionali. Per completare la filiera istituzionale. Perché non vi siano più dubbi sull’utilizzo dei fondi. Su chi e come debba utilizzarli e a beneficio di chi. Per non creare fratture tra le Regioni e Roma, o per curarle.

Giulio D'Andrea

Direttore responsabile di Irpiniapost, classe 1978, si laurea in Giurisprudenza a Perugia e si perfeziona in Psicologia forense a Genova. Mostra subito insofferenza per i tribunali e soprattutto per le cancellerie. Inizia il percorso giornalistico nel 2006, lavorando su carta stampata, internet e televisioni tra Campania e Lazio. Attualmente collabora con il quotidiano “Il Mattino”. Leggeva molto e suonava anche di più, poi la visione ossessiva delle serie Tv gli ha impedito di continuare.

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