Aree Pilota, modelli a confronto in giro per l’Italia

Il Progetto Pilota altirpino è fermo al preliminare di strategia e non sembra vicino il passo successivo: quella redazione del documento definitivo che detterà tempi, modi, risorse per la riorganizzazione dei servizi (scuola, mobilità e sanità) provando pure a segnare un’inversione di tendenza in termini demografici ed economici nell’area dei 25 Comuni dell’Alta Irpinia.

Anche nel resto del Paese le cose non procedono a passo spedito: al momento sono solo quattro su 22 le aree pilota che hanno già approvato la Strategia definitiva. Tre al Nord, con la Lombardia che può vantare l’ok a due progetti oltre al primato dell’area più veloce, e una in Italia centrale, precisamente nelle Marche. Il Sud e le isole, stando ai dati pubblicati sul sito della SNAI (la Strategia nazionale Aree interne), viaggiano più lentamente.

Sfogliando le pagine dei documenti, tra preliminari e definitivi, qualche curiosità utile anche al dibattito irpino salta fuori. Ogni luogo ha la sua specificità, ma pure punti di contatto con le altre aree. Del resto, l’inserimento stesso tra i territori con dignità di intervento in ottica SNAI era subordinata alla presenza di alcuni indicatori comuni. Non entriamo quindi nel merito delle singole strategie, però da mesi la discussione all’interno e fuori dal tavolo ufficiale del nostro Progetto Pilota si è arenata sulla forma, ancora prima dei contenuti. Cioè sulle modalità con cui il processo decisionale viene portato avanti dal vertice della Città Alta Irpinia, sulla scarsa trasparenza secondo alcuni, la mancata apertura all’esterno secondo altri. Cercare di capire cosa è successo o sta succedendo altrove semplicemente leggendo pdf pubblicati su un sito è sicuramente azzardato, eppure qualche evidenza emerge e con essa qualche osservazione.

Emerge ad esempio che l’area più veloce, l’Alta Valtellina, sia costituita da appena 5 comuni tutti al di sotto dei 5mila abitanti e tutti all’interno della stessa comunità montana. Un paradiso! Oppure che quella dell’Appennino Basso Pesarese e Anconetano ne raggruppa soltanto 9, ma ricadenti in due diverse province (Ancona e Pesaro Urbino). Sei di questi fanno parte della stessa Unione Montana Catria e Nerone, definita nei documenti “una positiva base di riferimento operativo e un funzionale modello gestionale a regime, tenuto conto dei buoni risultati che la maturata esperienza ha finora prodotto”. Un gran bel punto di partenza… Verrebbe da dire che è più facile trovare un accordo quando si è in pochi a decidere, e forse è anche vero, sebbene in Liguria siano riusciti nell’impresa pur essendo in 16 divisi tra due Asl. E qui la complessità delle cose inizia a farsi rilevante.

Nelle Madonie sono 21 i Comuni individuati come Area Interna cui se ne aggiungono altri 7 di gravitazione, in quanto fornitori di rilevanti servizi pubblici. Tutti insieme fanno parte di un progetto strategico di Città a rete che si è distinto per spesa di fondi europei negli ultimi anni. Insomma, non solo il numero dei protagonisti ma pure l’esistenza pregressa di esperienze associative di successo, aiuta.

E in Alta Irpinia? Con un protocollo istituzionale i nostri sindaci hanno deciso ormai quasi due anni fa di costituire un organismo decisionale chiamato Città (o Comunità) dell’Alta Irpinia, hanno eletto per acclamazione un presidente (Ciriaco De Mita), hanno approvato il tutto in 25 Consigli comunali e hanno individuato nel Catasto e nell’Infrastrutturazione Digitale i primi due ambiti in cui definire convenzioni per la forma associata. Però i comuni, lo abbiamo detto, sono 25; coincidono con il Consorzio dei Servizi sociali di Lioni e il distretto sanitario di Sant’Angelo dei Lombardi; sono divisi in due Comunità montane, diverse Unioni di Comuni che vivono ancora una fase embrionale e, dopo la guerra dei Gal della scorsa estate, in ben tre gruppi di azione locale. Frammentarsi qui, senza dubbio, riesce meglio che unirsi.

Salta poi all’occhio che, in diverse realtà, all’interno dei documenti non venga fatto mistero di essersi affidati a soggetti privati ed esterni per la progettazione. In Alta Valtellina si chiamano Eur&Ca ad esempio, nelle Marche Eco&Eco. Per l’Alta Irpinia – è noto – la Regione Campania ha deciso di affidarsi a Invitalia, agenzia di proprietà del ministero dell’Economia che affiancherà l’assemblea dei sindaci e il partenariato per tutta la fase di redazione della strategia fino alla firma dell’Accordo di programma quadro, fornendo assistenza tecnica sulla progettazione. Le famose schede su cui stanno lavorando i sindaci, per intenderci, sono realizzate con il supporto di Invitalia. Una scelta messa in campo solo in Campania, altrove appunto si è optato per società private laddove esistenti, oppure si sta procedendo senza supporti. In generale tutti i territori interni del Paese hanno evidenziato una difficoltà comune a tradurre le analisi del fabbisogno, fanno sapere dagli uffici regionali, in azioni concrete per la strategia dovendo lavorare su fondi nazionali ed europei. Manca l’esperienza o diversamente manca la capacità progettuale: fondamentale è quindi la volontà dei sindaci. Dopo la firma dell’accordo di programma quadro, dovranno partire le diverse azioni sul territorio altirpino: ognuna di esse prevederà un budget per la progettazione che invece verrà affidata con le modalità previste dalla normativa nazionale in materia di appalti.

A proposito di esperti, non tutti probabilmente ricorderanno che agli esordi della Città dell’Alta Irpinia le stanze calitrane del Progetto Pilota pullulavano dei cosiddetti “testimoni privilegiati o innovatori”. Soggetti scelti dai Comuni o meglio dai sindaci, intervistati dai tecnici regionali e nazionali per raccogliere informazioni e proposte sul territorio. Innovatori provenienti da settori professionali diversi, in alcuni casi non residenti neppure in Alta Irpinia. Selezionati in modo del tutto discrezionale dagli amministratori, e scusate se sorge qualche dubbio sul fatto che si potesse scegliere meglio.

Spulciando le carte in giro per l’Italia scopriamo che era possibile fare le cose in modo più trasparente. Lo hanno fatto i siciliani delle Madonie ad esempio, con un avviso pubblico aperto a esperti che a titolo gratuito volessero contribuire al progetto. Ai candidati venivano richieste “una buona conoscenza del territorio e una comprovata e specifica esperienza nell’ambito di lavoro prescelto”. Se la memoria non ci inganna, a nessuno dei 25 sindaci altirpini è venuto in mente di adottare nel proprio Comune una soluzione del genere, figuriamoci di farlo come assemblea. E restando in tema di partecipazione, ci piace sottolineare che un po’ dappertutto in Italia siano state fatte decine di incontri sul territorio e abbiano o stiano prendendo parte al lavoro non soltanto soggetti pubblici e istituzionali, ma tante associazioni, cooperative e realtà imprenditoriali. Qui di confronti sui diversi temi ne abbiamo registrati pochi, quasi tutti promossi dal fronte interno dei dissidenti e con protagonisti i “soliti noti”, invocanti il coinvolgimento dei giovani (che sarebbe buona cosa). Ma ci chiediamo quanti di loro abbiano provato a coinvolgerli questi giovani ad esempio in veste dei già citati innovatori. A quanti giovani hanno seriamente provato a spiegare cosa sia questo progetto pilota, anziché ridurre tutto ma proprio tutto il dibattito ad uno scontro tra tifoserie? Infine, c’è persino chi, come nella fredda Alta Valtellina, si propone di continuare a garantire visibilità al percorso intrapreso anche a Strategia chiusa per “alimentare l’azione di dialogo e di integrazione comprensoriale innescata, con momenti costanti di confronto”. Che siano loro gli alieni?

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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