Ruspe al lavoro a Bisaccia, dove in queste settimane è in corso la demolizione di una delle più grandi incompiute dell’Alta Irpinia. Un intero quartiere, Boscozzulo, pensato nel dopo terremoto dall’architetto Aldo Loris Rossi che in paese ha lasciato il suo segno con varie opere. Il compianto progettista intendeva creare, nella parte nata con il piano regolatore del 1930, anche un complesso di edilizia popolare. Un enorme agglomerato composto da 83 alloggi, disposti in modo da formare una sorta di cinta muraria con tanto di porta scenografica per l’accesso, in omaggio a Romulea, la Bisaccia antica dove nel medioevo presero forma centro storico e castello. Il quartiere però non è mai nato. Almeno fino a oggi.
E’ il 1981 quando il Consiglio regionale approva il piano regionale di localizzazione degli interventi di edilizia popolare. Nel 1986 l’Istituto Autonomo Case Popolari di Avellino dà l’ok al programma esecutivo d’intervento in località Boscozzulo. Un anno dopo interviene la prima variante e le unità abitative passano da 83 a 79. Lavori affidati a un’impresa di Catania che però nel 1992 chiude il cantiere senza più riaprirlo. Nel 1995 un’ulteriore variante porta a 75 il numero degli alloggi da realizzare. I costi lievitano dai 5 miliardi di lire iniziali a oltre 8.
Ma il quartiere resta incompiuto. Mattoni e cemento, cemento e mattoni. Fondazioni a vista, pilastri, metri cubi su metri cubi. E incuria, desolazione, abbandono. Il verde spontaneo che attacca tutto, il gelo e la nebbia che mangiano tutto, ingoiano tutto. Uno scenario post bellico, con le abitazioni tutte simili e tutte sventrate, le pareti esplose. Gli atti di vandalismo si susseguono a catena. Scattano contenziosi, interviene il tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi. Nel 2001 la Regione Campania stanzia altri 5 miliardi di lire per il completamento dei lavori, ma chiede tempi rapidi e attività di servizio, spazi per la socialità. Rossi modifica i suoi piani: le abitazioni passano da 75 a 45. Diventa necessario quindi demolire i primi 30 alloggi, ma il cantiere non riparte e i ruderi restano tutti lì. Nel 2009 anche lo Iacp mette sul piatto un progetto che prevede la demolizione di 34 alloggi, il recupero di altri 29 e la creazione di una casa-famiglia per minori da 6 a 12 anni. (vedi planimetria in basso tratta dalla tesi di Monica Guarino).
Ridurre le case, abbattere il mostro diventa l’esigenza primaria. I fabbricati erano stati concepiti troppo vicini uno all’altro, alcuni di essi senza neppure una finestra. E nel frattempo Bisaccia si è spopolata. Nel 1981 gli abitanti erano oltre 4700, nel 2011 sono circa 3900 e continueranno a diminuire. Diventa legittimo chiedersi chi mai avrebbe dovuto abitare in quegli alloggi popolari. Il progetto definitivo nasce nel 2014 e porta ancora una volta la firma dello Iacp. Gli alloggi da buttare giù salgono a 60, sopravviveranno solo 18 abitazioni, tutte però da recuperare e riqualificare, con una spesa ulteriore di oltre 2,5 milioni di euro.
Adesso dopo varie vicissitudini la ditta Colgema di Vallata sta completando la fase di demolizione, l’intero intervento dovrebbe concludersi nel 2021. Un atto doveroso, visto lo scempio ambientale e paesaggistico che quella incompiuta ha rappresentato per trenta anni a Bisaccia. Restano perplessità sul futuro, in un paese che continua a perdere residenti e dove il Comune mette in vendita gli appartamenti anche a un euro pur di incentivare gli acquisti e la manutenzione di un patrimonio edilizio notevole, ma non utilizzato.