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L’esperta del Consorzio Alta Irpinia: ‘Il Gap è una malattia’

Un problema sociale che cammina a braccetto con la materia psicologica, quello del gioco d’azzardo patologico. Per capirne di più sull’argomento abbiamo chiesto il contributo della dott.ssa Pina Aurilia, psicologa e psicoterapeuta del Consorzio dei Servizi sociali Alta Irpinia – Ambito A3 di Lioni.

Dott.ssa Aurilia, chi sono i soggetti più esposti al rischio di cadere nella trappola del gioco d’azzardo patologico?

“In realtà non esiste un profilo psicologico specifico del gambler, semmai si può parlare di alcuni tratti ricorrenti come la mancanza di autocontrollo, la bassa autostima, lo stress, la sensazione di solitudine che possono facilitare l’insorgenza della dipendenza.

E’ corretto dal punto di vista psicologico parlare di malattia?

“Il gioco d’azzardo patologico è considerato a tutti gli effetti una vera e propria malattia. Già nel 1980 l’American Psychiatric Association ha inserito il pathological gambling nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV), come un disturbo del controllo degli impulsi che ne compromette le attività personali, familiari e lavorative. La nuova edizione dello stesso Manuale ha riclassificato il gioco di azzardo patologico nell’area delle dipendenze (addiction). Nel giocatore d’azzardo patologico ci sono delle distorsioni mentali che lo fanno vivere nel convincimento costante di essere vicino alla grande vincita. Si struttura in lui un pensiero magico/onnipotente che gli fa credere di poter prevedere gli esiti del caso. Il giocatore è ossessionato dal pensiero di giocare, diventa assente, sfuggente, sempre meno disponibile al dialogo e in costante tensione. Tende ad allontanarsi dalla famiglia, dalla rete sociale e dal lavoro e vive una grande sofferenza oltre a uno stato di disagio psicologico”.

Quali sono le implicazioni sul piano psicologico e sociale della dipendenza da gioco?

“Le implicazioni delle derive patologiche o problematiche del gioco d’azzardo andrebbero ricercate in più aree: dalle relazioni sociali e familiari, allo sconfinamento nell’illegalità e nell’usura passando per i costi sociali e sanitari del fenomeno. Riguardo al secondo punto sappiamo che i giiocatori patologici sono frequentemente coinvolti in attività illecite finalizzate al procacciarsi denaro per giocare e i reati più facilmente commessi sono la frode, la falsificazione della firma, l’appropriazione indebita e i piccoli furti. Inoltre il fenomeno non sembra risparmiare le donne e anche gli adolescenti. Per quanto riguarda i rischi e i costi in ambito sanitario, va evidenziato come il giocatore patologico attraversi spesso periodi di profonda depressione, di forte nervosismo, di paura con alto rischio suicidio, di assunzione di farmaci per malesseri secondari al gioco d’azzardo e altri sintomi “stress related”, quali difficoltà di memoria e di concentrazione”.

A livello normativo cosa andrebbe fatto per porre un freno al fenomeno? A Lioni ad esempio il numero di sale o punti di accesso al gioco è notevolmente cresciuto nell’ultimo periodo.

“Ciò che è apparso carente finora nonostante i tentativi o i progetti per contrastare il fenomeno è l’organizzazione di risposte e politiche di prevenzione e di riduzione del danno o di aiuto ai giocatori problematici e ai loro familiari. E’ evidente che è impensabile intervenire sulle problematiche legate al gioco d’azzardo attraverso un’ottica proibizionista. Anche perché le entrate per il gioco del Lotto e affini sono una forma di tassazione parallela. E’ come se Stato diventasse lo “spacciatore” e il giocatore che cade in rovina è tutti gli effetti la persona da aiutare. Senza contare che si alimenterebbe lo sviluppo di circuiti clandestini illegali alternativi. Lo Stato però dovrebbe diminuire e disincentivare la propaganda: non basta dire “Gioca responsabilmente”. Ci sono spot pubblicitari che recitano “vinci facile, vinci adesso”. Con questa semplice frase si vende un’illusione che le cose si possono cambiare affidandosi al caso. E questo è molto pericoloso”.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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