Il complesso dedalo burocratico nel quale devono districarsi le acque irpine vede le “diplomazie” campane e pugliesi muoversi su più piani. La sensazione è che, per la coincidenza di più scadenze ed eventi, l’anno 2019 sarà un anno cruciale per i destini delle sorgenti d’Irpinia. Ma se sul fronte orientale della provincia sono soprattutto i rapporti extraregionali con la Puglia a tenere banco, ad Avellino e dintorni gli occhi continuano a essere puntati sul destino di Alto Calore. Le acque irpine contese da tutti, desiderate da tutti. Tutelate da chi?
In questi giorni è molto attivo il Comitato Acqua Bene Comune: un’iniziativa partita dal basso e vicina alla frangia più di sinistra dello schieramento politico irpino, che vorrebbe scongiurare l’ingresso di privati nella proprietà e gestione dell’ente di Corso Europa, responsabile dell’approvvigionamento idrico dell’Irpina e di parte del Sannio, ma in forte crisi finanziaria. Concordato preventivo e prestito della Cassa Depositi e Prestiti sono le due ipotesi messe in campo dal governo M5S-Lega per salvare Alto Calore, evitando così l’arrivo dei privati: nel primo caso l’operazione sarebbe rischiosissima per l’ente stesso, che si avvierebbe sulla strada del fallimento certo; nel secondo invece a compiere un’operazione ardita sarebbe Palazzo Chigi. Alto Calore infatti non può accendere un mutuo presso Cdp, destinato a soli enti locali, e Conte e i suoi dovrebbero intervenire con un provvedimento ad hoc dando vita a un pericoloso precedente. Poi c’è il discorso dell’affidamento del servizio idrico, anch’esso a rischio per l’incombere della procedura di gara europea. Negli ultimi due anni si era provata la strada dell’aggregazione ad altro soggetto, come il sannita Gesesa o Acquedotto pugliese, per risollevare le sorti di Corso Europa. La trattativa però è fallita. Circa 140 sono i milioni di debiti attuali e decine i dipendenti in esubero. E nel mezzo restano le urgenze di un quotidiano che vede i tecnici Alto Calore chiamati a far fronte a continue rotture e perdite. Sulle infrastrutture potrebbe intervenire la Regione Campania, finanziando l’ammodernamento delle reti, ma lo stanziamento delle risorse è legato a doppio filo al chiarimento dei punti già citati. Insomma, è un cane che si morde la coda.
A Oriente le cose vanno meglio, ma se Sparta piange Atene non ride. Sono ufficialmente terminati nei giorni scorsi i lavori allo storico canale principale di Acquedotto Pugliese, che dal fiume Sele porta l’acqua delle sorgenti in Puglia, dopo aver percorso 245 chilometri. Costruito tra il 1906 e il 1918, il canale della Pavoncelli soddisfa oltre il 25% dell’intero fabbisogno idrico pugliese trasportando fino a 5mila litri al secondo. Oltre cento tecnici Aqp hanno lavorato per cinque giorni al suo svuotamento e alla manutenzione. L’acqua di Caposele è così tornata a scorrere nel Sele. Nel frattempo, si avvia a conclusione pure l’attività del commissario Roberto Sabatelli: il suo contratto scade a fine maggio 2019 e la galleria Pavoncelli bis dovrà entrare in funzione conseguentemente. Il raddoppio della Pavoncelli e l’avvio della centrale idroelettrica sono all’attenzione di Regione e Comune di Caposele da tempo. A dicembre sindaco e vicesindaco del paese del Sele hanno pure incontrato il numero due di Palazzo Santa Lucia, Fulvio Bonavitacola, a Napoli. Si lavora a una migliore definizione degli accordi, delle convenzioni tra Comune e Acquedotto, ma soprattutto tra livelli regionali. Nella partita infatti rientrano pure l’utilizzo del potabilizzatore di Conza della Campania, ora in funzione, e le sorgenti di Cassano Irpino, le cui acque alimentano entrambi gli acquedotti e necessiterebbero anch’esse di una rivisitazione degli accordi. Materia complessa quindi e sulla quale i caposelesi sono intenzionati a vederci chiaro. Non a caso, è novità di questi giorni la costituzione di un gruppo di lavoro, formalmente riconosciuto con delibera di giunta e a titolo gratuito, individuato dall’amministrazione per seguire le vicende legate alle acque delle sorgenti Sanità. Se ne occuperanno Nino Chiaravallo, Alfonso Merola, Antonio Corona e Giuseppe Palmieri.
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