di Donato De Gianni, agronomo e sommelier
E’ un intreccio di storia, cultura, tradizioni, evoluzioni tecniche e scientifiche, teatro di invidie e gelosie, motore di spinta di un comparto produttivo, quello del vino italiano, che punta ad essere sempre al top nello scenario mondiale.
Sono migliaia gli espositori giunti da ogni parte dello stivale. Si va dalla Valle d’Aosta, con i suoi vini di montagna ottenuti da viti coltivate fino a 1200 metri di altitudine come il Blanc de Morgeaux et de la Salle da uve priè blanc, alla Sicilia molto amata non solo per i suoi vini secchi, robusti ma in particolar modo per i colori dorati dei suoi dolcissimi vini da dessert, per le loro sfumature aromatiche e la loro morbidezza, inconfondibili nella Malvasia delle Lipari e nel Moscato Passito di Pantelleria, ottenuti da uve zibibbo o moscato di Alessandria. Non dimentichiamo i vini provenienti da una viticoltura “coraggiosa” come il caso della Valtellina, della Costa ligure, della Costiera amalfitana, solo per citarne alcune, fino alle regioni dove si pratica, per certi versi, una viticoltura intensiva ottenendo performance eccellenti come in Toscana e in Piemonte, da sempre simboli della viticoltura italiana.
E poi c’è la nostra Irpinia, dove a volte il tempo sembra fermarsi e la memoria smarrirsi davanti agli errori di un recente passato, lassù, in mezzo ai vigneti, pascoli e campi di grano. Ma c’è un qualcosa che è sopravvissuto ai danni del tempo e, soprattutto, a quelli degli uomini, uno dei simboli per antonomasia della verde Irpinia nello scenario nazionale: il vino.
Terra speciale è l’Irpinia per il comparto vitivinicolo. Tre zone a denominazione di origine controllata e garantita, grazie alla tenacia di questo popolo, regalano una straordinaria varietà di vini. Bianchi eleganti, rossi potenti, da sempre scelti per esaltare i piatti della cucina regionale e nazionale. E come tutti gli anni, anche quest’anno l’Irpinia si dimostra protagonista al Vinitaly con centinaia di aziende, banchi di degustazione, dibattiti e approfondimenti.
Proprio il 9 aprile, giornata inaugurale del Vinitaly 2017, si è tenuta nel padiglione B, in Piazza Irpinia, la presentazione della manifestazione intitolata “Ciak Irpinia, buona la prima” in programma nei giorni 23-24 maggio nel castello Marchionale di Taurasi, voluta e concretizzata dal Consorzio tutela Vini d’Irpinia in collaborazione con la Camera di Commercio di Avellino.
La presentazione dell’evento è stata diretta dal Presidente del Consorzio Tutela Vini d’Irpinia Stefano Di Marzio, dal Consigliere del Consorzio Piero Mastroberardino e dal Presidente della commissione tecnica Luigi Moio che con i loro interventi hanno reso chiaro l’obiettivo: puntare i riflettori su quello che accadrà negli anni nella viticoltura irpina per poter fornire una rappresentazione il più possibile omogenea del comparto produttivo.
L’iniziativa, come spiegato da Piero Mastroberardino, è strutturata in più fasi e si aprirà con un tasting seminar riservato ai giornalisti invitati e provenienti da svariate parti del mondo su un numero di vini messi a disposizione dalle aziende facenti parte del Consorzio e preventivamente selezionati dalla commissione tecnica. L’attenzione sarà focalizzata sull’ultima vendemmia dei bianchi d’Irpinia e sull’annata in uscita da disciplinare del Turasi. Si parlerà quindi dell’annata 2016 per i bianchi e della 2013 per il Taurasi.
La degustazione sarà alla cieca, perché lo scopo non è quello di stilare classifiche dei vini ma poter approfondire le conoscenze del nostro territorio e registrarne i mutamenti.
Seguirà una fase di confronto tra il panel di giornalisti e la commissione tecnica nella quale si esamineranno i dati tecnici delle vendemmie 2013 e 2016 e ci si confronterà per tirare le somme su come si è lavorato, tenendo conto dell’andamento meteorologico delle due annate. Chiusa questa fase ci sarà un grande banco di degustazione in cui tutte le aziende del Consorzio che hanno voluto aderire all’evento potranno, all’interno del Castello di Taurasi, presentare i propri vini.
La parola è poi passata al Professor Luigi Moio che ha svolto già un’esperienza simile in Borgogna sullo Chardonnay e secondo il quale la presenza della Commissione tecnica è necessaria per un Consorzio, affinché possa comunicare ciò che accade in un areale produttivo. La commissione sarà composta da enologi che abbiano memoria storica della Denominazione e conoscano perfettamente la tipologia di vini che si producono. Essa avrà il compito di selezionare, alla cieca, tra 150/200 vini, una quarantina che risultino i più rappresentativi del modello Fiano, del modello Greco, del modello Falanghina e del Taurasi. Successivamente questi vini saranno posti all’attenzione della giuria e si attribuirà una valutazione qualitativa di sintesi alla vendemmia in degustazione rispetto alle altre annate.
Se si riuscisse a perseguire tale obiettivo per una decina di anni, si potrà avere un archivio storico che poggerebbe su basi tecniche. Inoltre si potrà capire se le attività di cantina sono idonee per ottenere vini che rientrino nella denominazione oppure occorrerà effettuare miglioramenti in tale ambito.
Questo dovrebbe essere il giusto obiettivo per un Consorzio, sia nell’interesse dei produttori, i quali dovranno assumersi delle responsabilità sapendo che dovranno interpretare un messaggio che è territoriale , sia nell’interesse degli appassionati e degli operatori del settore.
Riassumerei quanto detto in una frase che tra l’altro è il reale obiettivo dell’iniziativa:
“L’importante è il vino, ma più importante è l’uomo, l’augurio è che l’intelligenza industriale sia così intelligente da non sopraffare mai il cuore artigianale”, intendendo per intelligenza industriale l’applicazione di tecniche innovative provenienti da studi scientifici, il saper collaborare e cooperare e per cuore artigianale il preservare le tradizioni, il legame con il territorio, il perseguire le giuste pratiche colturali nel rispetto dell’ambiente, al fine di ottenere dei prodotti qualitativamente sempre migliori e che sappiano soddisfare il palato e l’anima del consumatore.
Al termine dell’incontro è intervenuto Marco Lombardi, critico cinematografico ed enogastronomico, nonché professore all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, il quale ha parlato di “Cinegustologia”, una sorta di “gioco” per cercare di uscire un po’ dagli schemi classici e raccontare i vini tramite delle vie alternative che evidenzino la “soggettività del sentire”. E’ vero che i vitigni di un determinato territorio hanno degli elementi sensoriali, olfattivi e gustativi molto riconoscibili ma è anche vero che ognuno di noi ha una percezione all’olfatto e al gusto differente.
Spesso ci capita di raccontare un film come se avesse un odore, un gusto e una consistenza del tutto soggettivi.
Un film di denuncia sociale non può non essere crudo e amaro, così come una commedia romantica non può non essere costituita da una storia dolce, morbida e leggera. Se individuiamo in un film dei sapori, delle consistenze e anche degli odori è evidente che potremmo raccontarlo associandolo ad un determinato piatto o ad un vino che ha presenti al suo interno quegli stessi elementi sensoriali.
La “Cinegustologia” è nata in un festival che si è tenuto a gennaio proprio in Irpinia durante il quale si è raccontato il cinema del conterraneo Ettore Scola associandolo a dei piatti del territorio.
Lo stesso è stato fatto, durante l’incontro, con tre vini in una degustazione condotta da Giuseppe Iannone. Si è partiti con un Fiano di Avellino che per la sua finezza, eleganza ma anche per la sua potenza di fondo è stato associato all’umanità, alla semplicità e all’amarezza allo stesso tempo, riconducibili al personaggio interpretato da Mastroianni in “Maccheroni”, film del 1985 dello stesso Ettore Scola.
Il secondo vino in degustazione è stato un Greco di Tufo, rivelatosi robusto, pieno, persistente e “maschio” rispetto al Fiano, caratteri delineanti il personaggio interpretato da Massimo Troisi nel film “Che ora è” del 1989.
Infine si è passati al re indiscusso dell’enologia irpina, il Taurasi, che al suo splendido colore rubino carico si associano all’olfatto note floreali, fruttate e speziate e un gusto pieno, caldo, avvolgente, sostenuto da una vivace freschezza e da tannini importanti per volume e fittezza, caratteri indispensabili per un vino destinato all’invecchiamento. Ed è proprio secondo Marco Lombardi, il quale ha conosciuto di persona Ettore Scola, che questo vino si può associare alla persona stessa del regista, il cui carattere era all’apparenza morbido ma che nascondeva tanti “tannini” ed una “acidità scalpitante”.
Sembra, quindi, che in Irpinia il “nastro” stesse girando nel verso giusto, certi dell’ottenere una “pellicola” come sempre di qualità grazie al giusto contributo di registi, produttori e attori del comparto.
Appuntamento al 23-24 maggio 2017 al Castello di Taurasi per “Ciak Irpinia, buona la prima”.