Io non so esattamente cosa mi spinga ad arrivare allo Sponz Fest con tanto entusiasmo alla quinta edizione. Forse ieri per Massimo Zamboni, che è stato chitarrista in uno dei miei 50 dischi preferiti, Ko de Mondo dei Csi. Ma forse non basterebbe a giustificare un’ora di strada Alta Irpinia per Alta Irpinia, il rischio di rompere le sospensioni della macchina che ha 13 anni, la concreta prospettiva di dover passare la notte in un bosco sconosciuto al freddo con annesso lago e umidità. In macchina mi dico che l’obiettivo del mio Sponz 2017 sarà quello di capire se lo Sponz sia uno strano e affascinante festival o sia diventato un laboratorio permanente per l’Irpinia. Poi però mi dico di non pormi tante domande e di non sparare cazzate, anche perché non c’è tempo per le domande. Alla prima biforcazione seria resto 10 minuti a decidere la direzione da prendere. E anche dopo aver imboccato una strada torno indietro dopo 300 metri: sia perché dall’altra parte si arrivava uguale, così dice l’amico, sia perché la via prescelta era una mulattiera.
La prima giornata di Sponz è al Lago delle Canne, nelle campagne sconfinate di Calitri al confine con Aquilonia. Lontano da tutto in pratica. Parcheggio a circa 600 metri dall’area campeggio-concerti. Campi, stelle, cielo splendido. Polvere, sassi, buio totale. Mi innervosisco. Chi cazzo me lo ha fatto fare? Come diceva lo spot di Grano Armando? Qua ce sta sulo ‘o grano? Intorno al lago delle canne ci staranno pure cinghiali e lupi. Sì anche i lupi, così suggeriscono i primi amici che incontriamo. Per la strada i gufi e la gente che cerca di farsi strada con la luce dello smartphone. Al ritorno sentirò un nitrito lontano di un cavallo. E se non è un cavallo – penso – è chiaramente un demone della cupa…
Arriviamo e il nervosismo va via. Prima della location c’è un’installazione, un campo di calcio in led disegnato da Michele Mariano. E’ il Teatro Degli Alberi Uomo e Degli Uomini Cervo. Io non so chi abbia scelto questo nome, ma è meraviglioso come l’installazione. La mia ansia cala vedendo un’area attrezzata e civilizzata sì civilizzata. Tutto è come deve essere. I volti sono quelli del popolo caposseliano, ci mancherebbe. Gli accenti parlano di genti venuti da fuori. E soprattutto c’è molta gente, arrivata in macchina o in navetta fino a questo buco di mondo sperso d’Irpinia. Bene. Sul palchetto, non si vede ma si percepisce, c’è Vincenzo Costantino Cinaski e le persone sono assiepate sulle balle di fieno, in piedi e sdraiate in ogni angolo per ascoltarlo. No, il palco è posizionato veramente male ma alla fine chi se ne fotte. Sono venuto per Zamboni e un posto lo troverò. Sono venuto per vedere l’alba al Lago delle Canne e ci riuscirò.
Cinaski va via, molti si alzano per una birra o per sgranchirsi le gambe. Nel silenzio, quatti quatti, recuperiamo una balla di fieno e troviamo un’ottima posizione. Non passa molto. Arriva ‘sto cristiano strano col cappellino e non riesce a leggere perché non c’è luce. Risolti i problemi tecnici comincia subito. Ma come? Nessuno lo presenta o cose del genere? Zamboni inizia presto a farci viaggiare a Berlino, in un reading musicale emozionante tratto dal libro “Nessuna voce dentro”. Ti porta nei quartieri occupati e a ridosso nel muro, nei caffè a cavallo tra seventies ed eighties. Alla gloria, alla storia. Col sottofondo punk-elettronico dei Deutsch Amerikanische Freundschaft. E ancora di Lou Reed, cantato da Zamboni stesso. Nico e altri. Fantastico! “Qui è il posto più distante al mondo da Berlino“, aveva detto all’inizio il chitarrista scrittore. Proprio vero!
La gente arriva per lui a metà esibizione, timida e lenta. Evidentemente il popolo Sponz preferisce Cinaski e ci sta. Ma alla fine meglio così, meno ressa. Me ne vado anch’io quando parte un lungo filmato in tedesco. No non faccio finta di ascoltare attento e di interessarmi a ‘sta roba. Ci vuole qualche Peroni, e sotto un arco di alberi Peroni fu. Un bel gruppo di calitrani ci offre pancetta e salame fatti in casa. E sì, dopo aver mangiucchiato si decide che l’alba la vedrà solo chi è attrezzato con tenda, dodici coperte e sacco a pelo, e boccioni di vino o con la fiaschetta di whisky. Non io, non mi sono portato il necessaire. Nessun concerto all’alba per me, vorrei avere la forza di tornare allo Sponz con qualche forza…