Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Livorno, su ordine della Procura della Repubblica, hanno dato esecuzione ad un decreto – emesso dal G.I.P. del Tribunale labronico, Dott. Marco Sacquegna – finalizzato al sequestro preventivo di beni mobili ed immobili, collegato a fatti di truffa aggravata e riciclaggio di capitali illeciti, commessi da due soggetti, originari e residenti ad Avellino (padre e figlio).
Le indagini, dirette dal P.M. Dr. Massimo Mannucci, sono state sviluppate dai militari delle Fiamme Gialle distaccati presso la Sezione di polizia giudiziaria della Procura di Livorno e hanno avuto origine a seguito di una denuncia/querela presentata, nella primavera del 2016, da due persone di Livorno, rispettivamente madre (invalida civile al 100%) e figlio, alle quali è stato sottratto, in più occasioni con artifizi e raggiri, circa 1 milione di euro, parte di un consistente lascito ereditario proveniente dal Marocco e ricevuto nel 2014, dopo la morte di un parente.
Attraverso un loro conoscente, le vittime venivano avvicinate, nel mese di ottobre 2014, da uno degli indagati (il padre, tale A.A., di anni 58), presentatosi come titolare di una società romana operante nel settore del factoring (nel 2016, con un volume d’affari di 30mila euro); allettati da facili guadagni, le vittime affidavano una prima tranche dell’eredità, pari a 30mila euro, alla società romana – ad essa trasferita tramite un soggetto giuridico livornese (operante nel settore della compravendita immobiliare, comunque riconducibile all’indagato) – dietro la promessa di una rendita, che effettivamente percepivano, da aprile a ottobre 2015, per 210 euro al mese.
Tenuto conto dell’alta redditività ottenuta, veniva incrementata la misura del (presunto) investimento con la consegna di altri quattro assegni, per l’importo di 430mila euro, a fronte del quale la rendita mensile corrisposta aumentava fino ad euro 3.133. L’apparente redditività convinceva le vittime ad un nuovo incremento dell’investimento, sicché, nel febbraio del 2016, consegnavano ad A.A. altri assegni per 397.000 euro, disinvestendo (peraltro) il capitale impiegato per l’acquisto di obbligazioni presso un istituto di credito e giungendo, quindi, alla consegna complessiva di euro 977.000.
Dopo questa ultima tranche, dal mese di marzo 2016, veniva, tuttavia, interrotto l‘accredito della rendita e A.A. si rendeva completamente irreperibile; anzi, inviava un messaggio augurale per la Pasqua del 2016 alle vittime al quale allegava una fotografia che lo ritraeva insieme con la famiglia mentre era intento a brindare allegramente in un rifugio di una località montana.
Le successive investigazioni di polizia giudiziaria hanno confermato l’ipotesi della truffa aggravata, atteso che nessuna somma di denaro ricevuta è stata di fatto impiegata in investimenti od operazioni finanziarie nell’interesse dei clienti. Il fatto è stato commesso, inoltre, nei confronti di persone offese in precarie condizioni economiche, amplificando oltremodo il danno derivante dalla subita truffa, posto che ora sono persino morosi nel pagamento dei canoni di locazione dell’abitazione presa in affitto.
Peraltro, in ragione della sussistenza di tali circostanze aggravanti, il GIP ha ritenuto ininfluente, sulla procedibilità dell’azione penale, l’intervenuta remissione di querela da parte delle vittime, avvenuta il mese scorso; le stesse, infatti, sono state riavvicinate da A.A., qualche giorno che questi era venuto a conoscenza dell’esistenza di indagini a suo carico da parte dell’Autorità Giudiziaria livornese, che ha promesso loro la restituzione delle somme rateizzata nel tempo.
La ricostruzione operata dagli investigatori del percorso del denaro ha evidenziato come tutti gli assegni ricevuti dalle vittime siano stati negoziati, tra il luglio del 2015 e il febbraio del 2016, presso quattro differenti filiali di un istituto bancario con versamento su un conto corrente poi estinto nel luglio 2016.
A quel punto, per rendere difficoltosa e ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, a brevissima distanza dalla negoziazione dei titoli, venivano effettuate dall’autore della truffa disposizioni per circa 1 milione di euro a favore del figlio (tale G.A., di anni 27), indagato per riciclaggio per il compimento di una serie di operazioni di ripulitura del denaro, poste in essere mediante numerosi conti correnti, molti dei quali accesi solo dopo che le vittime della truffa avevano iniziato a consegnare le proprie somme.
Del denaro ricevuto, è risultato che il figlio ha retrocesso al padre circa 120 mila euro, ha acquistato 2 kg in lingotti d’oro puro per un valore di circa 80mila euro, ha effettuato numerosi giroconti e disposizioni verso società a lui riconducibili, di cui circa 350 mila euro a favore di un soggetto giuridico con sede ad Anzio operante nel settore della compravendita immobiliare (con volume d’affari di circa 30 mila euro). Tra il mese di luglio 2016 ed il marzo 2017 risultano, inoltre, pagamenti verosimilmente destinati all’acquisto di unità immobiliari.
Alla luce di quanto sopra, in sede di esecuzione del provvedimento cautelare, i militari della Sezione di p.g. della Guardia di Finanza, con il supporto del Nucleo di Polizia Tributaria, hanno provveduto a ricostruire – anche valorizzando il patrimonio informativo a disposizione attraverso le molteplici banche dati in uso al Corpo – i beni riconducibili al soggetto indagato per riciclaggio, sottoponendo a vincolo cautelativo 19 unità immobiliari (di cui n. 10 appartamenti, 7 garage e 2 negozi) e 8 terreni, ubicati prevalentemente in provincia di Avellino, oltre che a Napoli e Caserta, sino all’importo di 947 mila euro.
Contestualmente, sono state eseguite perquisizioni domiciliari presso la residenza degli indagati e delle società loro riconducibili. Prosegue, pertanto, incessante l’attività dalla Guardia di Finanza a contrasto delle gravi frodi economico – finanziarie, attraverso una sistematica aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati, anche in aderenza alle indicazioni del Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Livorno.