Il biodistretto, argomento su cui si sta discutendo in Alta Irpinia, è “un territoro naturalmente vocato al biologico dove agricoltori, cittadini, amministratori pubblici, stringono un patto per la gestione sostenbile delle risorse, secondo i principi dell’agricoltura biologica e dell’agro-ecologia” (biodistretto.net).
Una definizione più approfondita parla di “una realtà che ha come obiettivo la valorizzazione dell’economia e delle tradizioni locali. Per fare questo si cerca di soddisfare sia le esigenze dei produttori con la ricerca di mercati locali, l’attivazione di servizi integrati territoriali, il riconoscimento del ruolo del Bio-agricoltore, sia quelle dei consumatori con la sicurezza alimentare, la conoscenza dei luoghi di produzione del cibo e la ricerca di prezzi equi con il coinvolgimento della istituzioni pubbliche…” (verobiologico.it).
In Italia ce ne sono tredici. Il primo a nascere è stato quello del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, provincia di Salerno. Ha coinvolto 32 Comuni, 400 aziende, 20 ristoranti e 10 stabilimenti turistici che utilizzano i prodotti biologici del territorio.
Che cosa c’entri questa roba con un pezzo dell’Alta Irpinia più a Est resta da scoprire. Non perché il territorio in esame non abbia le potenzialità per sviluppare un ragionamento del genere (numerosissime le aziende agricole e le eccellenze da Bisaccia e Calitri), ma perché si vuol discutere di biodistretto in una terra dove le pale eoliche vengono tuttora installate un giorno sì e l’altro pure. Dove il presidente della Provincia, all’ultima Fiera di Calitri, ha parlato della possibilità di un Istituto di formazione legato proprio alle rinnovabili. Dove nonostante le attività di comitati e una moratoria su scala regionale, le installazioni di torri si sono fermate giusto un attimo e poi sono riprese a causa delle scelte degli anni scorsi (evidentemente vincolanti). Dove un Comune come Bisaccia ha contenziosi in atto con una società e rischia anche di doverci rimettere bei soldi. Per non parlare di altri timori legati all’ambiente. Le ultime polemiche per i bidoni trovati intorno al lago di Monteverde o per il contrasto evidente tra vincoli ambientali e attività permanenti sullo stesso lago. Oppure, andando a ritroso, per l’esplosione della pala eolica e i colpi dei kalashnikov con relative indagini e processo.
Le parole del sindaco di Calitri ad Aliano, Forum aree interne, “Il progetto pilota senza biodistretto e contratto di fiume è monco”, fanno quindi riflettere. Michele Di Maio ha ragione sul contratto di fiume, che servirebbe proprio a tutelare i corsi fluviali e in generale l’ambiente. Ma è pur vero che il biodistretto, se pensato in Irpinia d’Oriente, nascerebbe con delle grandissime contraddizioni di fondo. Contraddizioni ben affrontate ad Aliano proprio da quel Borghi che coordina le attività delle aree pilota ma che non si possono certo risolvere da sole se le comunità, in questo caso quella altirpina, non decidono una volta per tutte la propria vocazione da qui a 30 anni. Perché è sempre una questione di scelte. Sempre. Quella di molti amministratori altirpini è stata palese: rinnovabili a tutto spiano. Quella dei produttori altrettanto: lavorare bene, e dalla birra ai formaggi sembra che abbiano avuto ragione. La via di mezzo ci sembra un qualcosa dannatamente difficile da raggiungere. E a pelle non sembra che il biodistretto possa rappresentare un argine solido contro la “colonizzazione del territorio“. Se a questo aggiungiamo la complessità del Progetto Pilota nostrano, che passa dalla forestazione alla sanità, emergono nuovi dubbi. Non si creerebbe confusione? Altre aree pilota appaiono più snelle, nel numero dei Comuni coinvolti oppure nelle criticità da sistemare.
(la foto è da www.biodistrettovaldigresta.it)