Vertenza in Irpinia non fa rima solo con Irisbus. Triste ma vero. In questi anni, in cui il dramma di Valle Ufita è esploso in tutto il suo fragore, tanto mediatico quanto reale, forse abbiamo scordato che in provincia di Avellino ad essersi inceppato non è solo il settore metalmeccanico ma l’intero sistema lavoro. Le piaghe della disoccupazione per i più giovani e della cassaintegrazione per i padri di famiglia, oltre alla quasi totale esclusione delle donne dal mercato occupazionale, restano preoccupanti.
Gli ultimi dati consegnati dal segretario irpino della Cgil, Vincenzo Petruzziello durante la visita ad Avellino del leader nazionale Susanna Camusso, sono inquietanti. La disoccupazione in provincia di Avellino è al 18%, quella giovanile al 60%, oltre 83 mila sono gli iscritti al Centro per l’impiego. Nel 2014 oltre 7 mila ragazzi hanno lasciato l’irpina, praticamente l’equivalente di un paese medio-grande abitato da 30enni. Forse, però, è più utile calarsi a testa piena nella realtà dei fatti e cercare di capire, una buona volta, cosa realmente può dare questa terra, quanto è capace chi deputato ad offrirlo e quali strumenti mancano per oliare un meccanismo ormai arrugginito.
Cambiamo punto di vista. Invece di guardare al giovane laureato che scappa per cercare fortuna altrove, magari puntandogli il dito contro, guardiamo agli imprenditori. Chiedetevi se l’imprenditore che conoscete è capace di fare il suo lavoro. Perché, sapete, il suo lavoro è creare occupazione, reggere l’azienda e magari farla crescere. Quanti intorno a voi lo fanno? Quanti sono in grado di prendersi un rischio? Quanti investono per veder crescere la propria terra? Quanti, tra le proprie priorità, collocano prima la voglia di investire e poi il proprio tornaconto? Se la risposta è: pochi, o addirittura, nessuno, forse abbiamo individuato il problema. L’Irpinia parte da questo. Parte da zero.
Ciascuno, per forza di cose, è costretto a diventare imprenditore di sé stesso, a rimboccarsi le maniche, a trattare ogni mese il proprio stipendio, a scendere, talvolta, a compromessi. Da questo si parte. I giovani, dunque, non si stancano di cercare il lavoro in questa provincia, si stancano di confrontarsi con imprenditori che chiedono 100 senza essere in grado di dare 1.
Poi, ovvio, ce ne sono anche di illuminati. C’è chi davvero, nel corso degli anni, anche nella crisi più nera, ha investito e c’ha creduto, mantenendo i livelli occupazionali tentando, come ha potuto, di reggere all’ urto. C’è la De Matteis, c’è Basso, c’è Mastroberardino, c’è l’agroalimentare che funziona ma c’è anche la balla dell’agroalimentare che può farcela da solo. «Immaginare che in Irpinia si possa risollevare l’economia con il vino – ha detto proprio qualche giorno fa, Eugenio Pomarici, uno dei maggiori agronomi italiani – è assurdo. Chi lo pensa non ha il senso della realtà. Qualcuno forse crede che tutti siano a bocca aperta ad aspettare un sorso di Taurasi? Non è così». Pessime premesse per chi continua ad immaginare l’aglianico come l’unica ancora di salvezza. Senza l’industria, ora come ora, non si va da nessuna parte semplicemente perché la provincia di Avellino, nel post sisma, ha deciso di abbandonare la sua vocazione agricola per dedicarsi ad altro.
Analizziamo, dunque, le aree industriali. A dirla tutta, da tre anni a questa parte, i numeri, almeno su quelle altirpine, non sono eccessivamente negativi. L’esempio emblematico è quello di Morra De Sanctis, dove dal 2011 al 2014 gli addetti sono saliti da 910 a 925. Oppure San Mango Sul Calore, qui l’incremento occupazionale è stato anche maggiore: da 292 a 347. Lì dove sono presenti aziende forti (Ema o Zuegg per esempio) i livelli restano invariati o, addirittura, migliorano. I numeri sono più o meno stabili anche nell’area industriale Lioni-Nusco-Sant’Angelo o Porrara mentre la zona Calitri, insieme a Conza, perde oltre il 50% degli addetti. Buoni i guadagni per Lacedonia-Bisaccia e Calabritto. Analizzando il totale: le aziende sono passate da 66 a 63. Gli addetti da 3409 a 3275.
La storia di Valle Ufita, quanto meno per le suggestioni che evoca, va analizzata a parte. La Irisbus ha lasciato il posto ad Industria Italiana Autobus, 35 persone sono già a lavoro: 15 operai sono impiegati nella manutenzione dello stabilimento, 4 sono ai collaudi , 16 sono in trasferta a Bologna altre 265 presto torneranno ad indossare la tuta. Un raggio di sole dopo anni di lotta buia. Se per la IIA l’orizzonte è limpido, incerto è il futuro della Fca di Pratola Serra. Nell’ex Fma si lavora a singhiozzo da ormai troppo tempo e si attendono le ricadute positive degli investimenti a Termoli promessi da Marchionne per quest’anno. Il super manager di Fiat ha annunciato che, nello stabilimento molisano, arriveranno 500 milioni di euro per produrre i futuri modelli Alfa Romeo. Forse qualche commessa arriverà anche a Pratola.
Attendere e sperare, sembra questo il mantra.
Pochino per una terra che ha bisogno di rinascere.