Per noi irpini il 2020 doveva essere l’anno del quarantennale del terremoto. Eravamo già tutti preparati a mesi di iniziative nei vari Comuni, con la regia di questa e quella istituzione, gruppo, associazione, partito. Sarebbero culminati in un novembre di fuoco, con manifestazioni e commemorazioni – come spesso accade – concorrenti per data, orario, argomento. Ognuno con la sua lettura, la sua verità da affermare o riaffermare. Sarà ancora così. Tutti ci auguriamo che presto possa essere nuovamente così, che l’Irpinia e l’intero Paese possano ritornare alla ordinaria quotidianità. Ma sulla scena è comparsa l’emergenza coronavirus Covid-19. La prima pandemia del terzo millennio è piombata nella vita di tutti, in tutto il globo e l’Irpinia non ne è immune. Forse era giusto così.
Forse è giusto che finalmente si chiuda un ciclo storico e se ne apra un altro. E forse non poteva non accadere con uno choc di portata e violenza che nessuno di noi avrebbe immaginato soltanto poche settimane fa. E’ giusto che a 40 anni dal tragico sisma del 23 novembre 1980 gli over 60 possano finalmente aggiungere un’altra pietra miliare lungo il cammino della loro esistenza e voltare definitivamente quella pagina chiamata ricostruzione. E’ giusto che i quarantenni, nati a cavallo di quelle scosse, abbiano finalmente la loro occasione per essere protagonisti in una vicenda storica. Anche se dal divano di casa, come in molti stanno ironizzando in questi giorni. E’ giusto che i più giovani, noi venuti dopo e quelli arrivati molto dopo ancora, si approprino finalmente di esperienza e memoria autentiche della resistenza e della solidarietà che, nelle tragedie, l’umanità e la stessa Irpinia sono in grado di esprimere.
Toccante la riflessione del professore Rodolfo Salzarulo su Facebook. “Ho sentito da Fazio le parole di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo. Ha tradotto in sentimenti quello che già ci raccontavano i crudi numeri sul coronavirus. Non ho potuto evitare un richiamo di memoria altrettanto triste e, ad un tempo, nobile. Noi di Lioni, in quel novembre 1980 ero giovane amministratore, devastati dalla violenza del terremoto, e la nobiltà di Bergamo. Del suo giornale, degli operai della provincia (ricordo per tutti Treviglio), dei tanti volontari che ci portarono soccorso e conforto. Per la tragedia che oggi colpisce quelle terre, purtroppo noi non abbiamo soccorsi da portare! È questa la mia angoscia! Per il poco che serva, posso solo levare alta la voce per dire: forza Bergamo, ce la farai! Ce la faremo: insieme”.
Parole che racchiudono al tempo stesso il desiderio di dare un contributo, di restituire con atti concreti e risolutivi il bene ricevuto, e la confliggente impotenza generata da una situazione nella quale, paradossalmente, meno fai e più sei utile alla causa collettiva. Restando a casa, limitando i contatti sociali, gli spostamenti. Pure questa è solidarietà, declinata in forme inedite.
Quaranta anni fa l’Irpinia imparò che essere una sola voce, muoversi come un corpo solo, sono le uniche armi per affrontare – vincendo – tragedie e battaglie. Poi, salvo rare occasioni, lo ha dimenticato. Ieri pomeriggio si è messo a segno un colpo importante in quella che vuole restituire all’Alta Irpinia, al territorio che più di tutti pagò il prezzo del sisma, una sanità non di serie B. C’erano stati appelli dei sindaci e di movimenti vari, c’è stata la giusta sintonia tra le istituzioni locali, regionali e nazionali. C’è stato soprattutto un bisogno impellente: farsi trovare pronti di fronte a un’avanzata del covid-19. All’ospedale “Criscuoli” di Sant’Angelo dei Lombardi saranno attivati quei posti di terapia intensiva che si reclamavano dalla stagione dei tagli con l’accetta alla sanità irpina. Tagli che speriamo di non dover più raccontare.
Il metodo funziona: mettere a fuoco un obiettivo, osare ma razionalizzando gli appelli, l’elenco delle richieste. Individuare priorità. Addirittura, ragionare per il poco ma buono o valido. Perché un ospedale per piccoli Comuni può bastare, se funziona bene. Quaranta anni fa il terremoto fu una enorme tragedia, ma si rivelò pure una straordinaria opportunità di rinascita per questi luoghi. Colta o meno è altro discorso. Quaranta anni dopo l’emergenza coronavirus può esserlo di nuovo.