E’ arrivata la pioggia a Lioni questo pomeriggio, quasi a voler nascondere le lacrime, mentre il feretro di Paolo Rosamilia lasciava la Chiesa Madre tra gli applausi. La bara bianca è stata accompagnata nel suo ultimo viaggio verso il cimitero da palloncini lasciati liberi di volare verso il cielo. Bianchi anch’essi, a dare luce a una giornata triste, conclusione di una settimana altrettanto triste.
Paolo, 19 anni, lunedì è stato fermato dalla Polizia svizzera e portato in una cella. Lì a causa di un malore è stato trovato senza vita mercoledì mattina. Nella serata le prime notizie ufficiali da Zurigo, poi tra giovedì e venerdì l’autopsia che confermava l’assenza di violenze sul suo corpo ed escludeva il suicidio. Sebbene restino dubbi su cosa sia accaduto in quelle ore trascorse nella cella della stazione di Polizia elvetica, e sarà la magistratura a indagare, oggi la salma del giovane è arrivata a Lioni.
Tantissimi ragazzi al suo funerale, stretti attorno alla numerosa famiglia. Uno striscione portava la loro firma. “Il vuoto che hai lasciato sarà incolmabile. Riposa in pace. Ti vogliamo bene”, è stato il saluto degli amici più cari. Sono i giorni del dolore e delle lacrime: ineluttabile verità ritornata spesso nel corso del rito funebre officiato dal parroco, don Tarcisio Gambalonga.
A un parente toscano il compito di dare qualche parola di testimonianza sul finale della messa. “Non si può morire a 19 anni”, è stato il suo incipit. Non si dovrebbe morire, secondo l’ordine naturale delle cose. Poi ha continuato parlando direttamente ai familiari: “Mosè nel salmo 90, in una delle versioni più antiche, diceva ‘facci conoscere il peso dei nostri giorni’. Ecco oggi è un giorno pesante: quello delle lacrime cui seguiranno i sensi di colpa. Il nostro Paolo vi direbbe di pensare a questo giorno e al suo peso, al peso di un mondo che vuole che un ragazzo abbia un vuoto esistenziale e non sappia come colmarlo. Paolo non ha trovato una chiave per farlo. Forse si sarà sentito rifiutato. Ma voi non giudicate, come Gesù venuto per salvare e non per giudicare”.