Con la fine dell’agosto sono quasi inevitabili le riflessioni sull’Irpinia, su quello che potrebbe essere questa terra, sul turismo come possibilità o miraggio, su una possibile oppure improbabile rinascita. E a volte, spesso, ti assale anche la rabbia nel vedere un paese vivo e meraviglioso, affamato di cultura e assetato di bellezza. No non è un paradosso, è soltanto Sant’Andrea di Conza. Una piccola realtà che negli ultimi anni ha ricevuto solo un pezzo della visibilità – che non è sempre ricchezza ma solo opportunità – delle vicinissime Calitri e Cairano pur avendo, con le differenze di prospettiva, panorami simili, un centro storico da scoprire in ogni suo angolo, delle ottime tradizioni gastronomiche e anche un bel fervore socio-politico.
Poi scompariranno gli scrittori e i musicisti che allietano e arricchiscono slarghi e viuzze. Né degustazioni all’aperto o piacevoli e stimolanti incontri. “Qui è bellissimo, sembra Spalato“, “Non ero mai stato a Sant’Andrea, sembra di stare in un paesino di mare della Grecia in estate“. Già, che uno ci creda o meno erano i commenti di molti visitatori lunedì sera, stupiti dalle luci e dal colore della case che qui è più bianco che grigio, dove c’è più giallo che legno. La pietra di Nusco o il corso di Sant’Andrea subiranno lo stesso destino con la scomparsa dell’estate. Qui però non si tratta di piangere per il malinconico arrivederci all’anno prossimo o al Natale. C’è un problema grosso come la diga di Conza, una sfida complicata da intraprendere, per chi avesse voglia di farlo: rendere i paesi un po’ più vivi per più di un mese all’anno, non lasciare che chi resta venga assalito dalla depressione nel vedere la stessa gente nello stesso bar per 11 mesi.
E senza addentrarsi nelle pur sempre attuali e valide riflessioni sui numeri, sul turismo che non esiste, sull’assenza delle Istituzioni, è come se in questa parte d’Irpinia mancasse un pizzico di incosciente coraggio. E’ il coraggio di osare. Ed è vero, osare a novembre oppure a marzo può voler dire peccare di stupidità o sfacciataggine. Forse significa affrontare gli Dei, con il rischio di essere travolti dal nulla o dalla neve. Però, pensateci bene, se uno osa potrebbe farlo anche l’altro in un processo di emulazione che sia sano. E sempre per il discorso che qui nessuno può combattere il deserto in solitaria, un azzardo potrebbe creare qualcosa di buono anche in due-tre anni. E non è che necessariamente si debbano cercare le migliaia di presenze. Basterebbe modulare l’evento o il ciclo di eventi, incanalarlo in strutture esistenti oppure in formule da studiare senza l’ansia del cartellone agostano e di parenti emigrati che chiedono entertainment a ogni costo. E chiaramente adesso non stiamo parlando di Sant’Andrea di Conza, stiamo parlando di tutti…
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