Prima ora dedicata al nuovo album “Made in Italy“, poi la giacca a righe ha fatto posto al gilet nero. E’ stato quello il segnale che “il meglio doveva ancora venire”. Ligabue ha abbandonato gli abiti del cantautore che deve necessariamente proporre il suo ultimo prodotto e si è dato completamente alla platea del Palasele affidandosi ai grandi successi del passato e innescando una valanga di emozioni e ricordi. Unite in un grande abbraccio tre generazioni: quella dei genitori cinquantenni che hanno scoperto l’ex metalmeccanico interista alle sue prime uscite radiofoniche; quella dei trentenni cresciuti con il mito del bar Mario e le storie di periferia raccontate a suon di ballate e rock ‘n’roll ; quella infine degli adolescenti che “quando negli anni ’90 eravamo soliti riservare un dieci minuti di concerto al momento acustico – ha detto il cantautore di Correggio rivolgendosi proprio a loro – ancora non erano nei pensieri dell’universo”.
La prima data campana del tour di Ligabue, a Eboli (stasera si replica, ndr), ha fatto registrare il sold out e richiamato centinaia di fan anche dall’Irpinia.
Tappa confermata nonostante l’intervento chirurgico subito di recente: un fuoriprogramma che comunque non ha intaccato la performance del registra di Radiofreccia, che nel pomeriggio ha anche visitato gli scavi archeologici di Paestum. L’autore di “Ho perso le parole” è stato sul palco con tutta la sua voce e le sue chitarre per due intense ore di musica supportato dagli storici compagni di avventura, su tutti l’immenso capitan Fede Poggipollini. La band ha fatto vibrare le corde dell’anima con le versioni unplugged di “Piccola stella senza cielo”, “Quella che non sei”, “Leggero” e “Non è tempo per noi”. Ha fatto ballare e cantare a squarciagola con “Tra palco e realtà”, “Ballando sul mondo” e “Urlando contro il cielo”. Ha regalato la solita eppure sempre nuova, immancabile emozione di “Certe notti”. Notti come quella di lunedì sera a Eboli, nelle quali bastano un accordo e un microfono e “qualche cosa succederà”.