Primo Piano

L’importanza dei sogni e lo scopo dell’arte, Pignatiello racconta ‘Se ci credi’

È impossibile non restare incantati dalla voce di Antonio Pignatiello. Calda e diretta, colpisce fin dal primo ascolto e accompagna ipnoticamente tra le parole delle sue canzoni. Ha un potere ammaliante a cui lo stesso cantautore, dal carattere schivo di natura, sembra quasi non dare peso. Originario di Lacedonia ma ormai adottato dalla Capitale, Pignatiello ha dato alla luce il suo terzo album, disponibile dal 29 novembre. Oggi la presentazione ufficiale al Teatro Primo Piano di Roma.

Sembra quasi Domenica” e “Se ci credi” – che, insieme a “Salutami l’America“, dà anche il titolo al disco – hanno fatto da apripista. I video di entrambi i singoli sono stati diretti da Valerio Nicolosi, amico di vecchia data dell’artista, e girati negli Stati Uniti, tra New York e San Francisco, tra grattacieli e canyon. Dieci tracce essenziali, con pochi strumenti, che attingono alla tradizione cantautorale italiana come al sound dei rocker americani: “Ho pensato spesso a paesaggi desertici e strade lunari, dove intravedi in lontananza quell’infinito filo dell’orizzonte, per dirla con Tabucchi – ci racconta Antonio – È quello che ho cercato con le atmosfere e le musiche di queste canzoni, cioè che fossero molto cinematografiche. Dare un ruolo centrale ai dettagli presenti nei testi per raccontare le storie dei miei personaggi: il pittore muto che si esprime attraverso le sue tele, l’allenatore di calcio sempre senza voce, una storia quasi d’amore incisa sull’anello. Mi sono ispirato al folk americano, al rock, al blues, al gospel. Volevo uno stile che mescolasse questi elementi come li sentivo nella mia testa: sono sempre più convinto che la canzone da registrare si sviluppi prima dentro di te.E se riesci a sentirla vibrare non conta più molto il paesaggio che ti circonda, perché quel paesaggio è la canzone stessa. Così ho smesso di fare avanti e indietro. Quando nella musica scegli di collocarti in un luogo specifico, devi anche essere pronto ad abbandonarlo, essere disposto a cambiare e rimetterti in gioco per sperimentare ancora. È così che sono andato alla ricerca di un suono che si trovava nascosto tra gli scaffali del mio passato, ma era un passato pronto a stringere la mano al futuro”.

Tutto il lavoro è stato registrato “dal vivo”, “come si faceva negli anni Settanta, e come, ancora oggi, dei grandi maestri che amo molto come Bruce Springsteen, Tom Waits, etc…, continuano a fare. Per ogni brano non abbiamo registrato più di tre take, per ‘Se ci credi’, ‘Stanza dei ricordi’, ‘Bianco già’ ne è bastata una sola”.

Questo lavoro arriva a distanza di 5 anni dal precedente. Un tempo che ai nostri giorni, quelli dei social, dell’instant marketing, della reperibilità ad ogni costo, delle news che diventano obsolete in pochissime ore, sembrano un’eternità. Quindi è spontaeo chiedersi: che cosa ha fatto Antonio Pignatiello in tutto questo tempo?

Quando è uscito ‘A Sud Di Nessun Nord’ non è stato facile ricostruire anche dal vivo quel suono pensato e quelle atmosfere su cui avevamo lavorato giorno e notte senza Giuliano (ndr, Valori, giovane pianista romano prematuramente scomparso e storico collaboratore di Pignatiello). Era un lavoro pensato insieme e in cui il pianoforte aveva un ruolo centrale. Ad un certo punto, mi sono trovato a dover fare i conti con la vita e con tutte le contraddizioni e le mille sfumature che la compongono. Dovevo decidere se continuare o lasciar perdere. È stato in quel momento che Taketo Gohara mi ha detto: ‘Mandami trenta canzoni, che voglio produrti io il prossimo lavoro’. Quelle parole confortanti e stimolanti sono arrivate in un momento difficile della mia vita. Alla fine, di canzoni, ne ho scritte circa ottanta. E per farlo ci sono voluti due anni di scrittura. Successivamente abbiamo deciso quali temi evidenziare e con quali paesaggi sonori intraprendere il viaggio“.

Pignatiello fa parte di quella schiera di artisti che il mondo della musica definisce “indipendenti”. In tanti sono partiti da questa categoria e, grazie ad una serie di operazioni legate sia ai social network che al marketing musicale, hanno conquistato un posto d’onore nel circuito mainstream, decretando per i più la fine di questo settore considerato di nicchia. Ma se così non è, cosa significa essere indipendenti oggi? “Indipendente dal suono che va di moda in quel preciso momento, da chi mi dice cosa devo cantare e come devo registrare un album, dalle logiche di mercato, da chi ci dice che se vogliamo avere successo dobbiamo fare dei video con donne seminude e in atteggiamenti provocatori che rimandano ad una volgare immagine di “donna-oggetto”, e magari ci dicono che dobbiamo pubblicarlo in esclusiva su Youporn; o, ancora, dal rolex al polso con tanto di catena d’oro attaccata al collo su una camicia aperta. Da tutto quel materiale che fa presa inevitabilmente sul nuovo “Homo Videns” nato e cresciuto nell’era dell’immagine, sempre proteso a cercare un appagamento facile e veloce. Negli anni del “soddisfatto o rimborsato”, un rifiuto diventa inaccettabile. E in questa Società Liquida, per citare Bauman, l’amore, la solidarietà, l’incontro con il prossimo (valori solidi) lasciano il posto ad un’ignoranza da Alto Medioevo Tecnologico. E quello che ne consegue, oltre ad inevitabili analogie storiche, è una società sempre più frantumata, colma di paure, cui fa eco dagli schermi una voce che ci urla che “è colpa di questi qui, che ci rubano il lavoro! Dobbiamo costruire muri e chiudere i porti per impedire che arrivino”. E da questa violenza verbale (“Il Verbo diventa carne”) si passa poi a spiacevoli fatti di cronaca nera. È questa la realtà con cui ho deciso di confrontarmi con questo nuovo lavoro”.

Un messaggio forte in un momento in cui si chiede alla musica di essere più intrattenimento che politica. Ma Pignatiello ha pronta la risposta per eventuali critiche in questo senso: “Credo che già la scelta di raccontare o meno una cosa che vediamo e che ci sta a cuore, sia già di per sé una scelta politica. Non è la prima volta che prendo posizione su una serie di tematiche che mi sono sempre state a cuore come la solidarietà, l’ambiente, il lavoro, l’istruzione, la sanità… Dopo il terremoto che colpì il Centro Italia abbiamo organizzato con la Cgil di Avellino degli eventi in alcuni paesi dell’Irpinia con raccolta fondi da destinare ad attività culturali, e che poi sono stati donati per la ricostruzione della Casa della Musica di Amatrice. Per citare i più grandi, John Lennon, Bruce Springsteen, Neil Young, si sono da sempre schierati contro la guerra in Vietnam. In Italia De André, Guccini, Battiato, hanno sempre raccontato storie di questo tipo; lo stesso se pensiamo alla letteratura e alla poesia: Tabucchi, Sepùlveda, Neruda; al cinema da Rossellini a Trosi; nell’arte pittorica, penso a Goya, a Picasso. Dunque, l’arte e la politica sono strettamente connesse e chi dice il contrario forse non ha mai studiato la storia. E neppure la politica.

Impossibile non affrontare il ruolo dell’Irpinia nella vita del cantautore: “Per me, tornare nelle strade dove sono nato, conserva intatti sogni, ricordi, speranze, cadute e ricadute, ferite aperte e cicatrici sul cuore. Amici con cui farsi una chiacchierata e una partita a calcio, e amici con raccontarsi e scambiarsi idee, musiche, abbracci, un bicchiere, una pacca sulle spalle. Questo disco affonda le sue radici in quello che è stato il mio mondo sonoro che ho abitato fin da bambino a Lacedonia, i miei amici, la mia famiglia, i fantasmi del rock che mi hanno accompagnato in quelle vecchie strade affamate di sogni e di gioventù. È un disco che parla e racconta i problemi e i sogni della mia generazione, che ha dovuto fare i conti con una società illusoria e precaria; al contempo, la politica non è stata in grado di dare risposte concrete e non è ancora riuscita a colmare questo vuoto di idee e di valori. Guardando al mio paese, guardando a Lacedonia, si riesce, a volte, a vedere meglio quello che sta accadendo nel resto d’Italia. Sono figlio del terremoto, nato nell’81. In quell’anno, se non erro, ci saranno state circa settanta nascite. Oggi, di quei settanta, forse bastano le dita di una mano per contare quelli che sono rimasti. C’è chi è andato via per piacere, chi per volontà, chi per necessità. C’è moltissima Irpinia, in queste storie, più di quanto si creda. Mi piacerebbe moltissimo, magari fare un concerto per Natale, vista l’atmosfera del disco – conclude – Ad oggi, purtroppo, non è previsto. Vedremo se ci sarà l’occasione giusta… prima o poi“.

Rosaria Carifano

Giornalista nonostante tutto, autrice per caso. Insegno danza e cerco cosa abbiano in comune un corvo e una scrivania.

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