Tra i venti e i trenta anni, di Sant’Andrea di Conza. Amici da sempre e accomunati dalla comune condizione di fuori sede. Qualcuno lavora in zona, molti studiano e lavorano altrove. Hanno progetti a medio termine come l’apertura di un centro servizi e di fattorie sociali. Tengono corsi, laboratori. Provano a difendere l’ambiente: quest’ultimo è un filo che lega molte associazioni.
Sono i ragazzi di “Io voglio restare in Irpinia”, attiva da qualche mese. Il nome originario era “Io voglio restare in Alta Irpinia”, poi si è deciso di allargare il raggio. Perché alla fine il dramma dello spopolamento riguarda tutte le aree interne. Maria Laura Amendola, 22 anni, è la portavoce di questo gruppo. Con loro iniziamo un ciclo di interviste ai giovani che hanno deciso di restare. A quelli che vogliono fare qualcosa perché anche altri possano restare.
Di solito a un fuori sede si chiede perché “sei andato via”. Io invece vi chiedo: perché volete restare?
Vogliamo restare in Irpinia innanzitutto per una questione affettiva: questa è la nostra terra e vorremmo vivere qui, com’è naturale che sia. Una società giusta dovrebbe darci la possibilità di scegliere, di andare via per studiare e poi ritornare: oggi invece viviamo una condizione di costrizione. Siamo costretti ad andare via.
A 35 anni dal terremoto questa provincia, e in particolare l’Alta Irpinia, sono ancora alla ricerca di una strada da percorrere per darsi e darci un futuro. E allora vale davvero la pena di restare?
Sì, perché questa terra ha risorse uniche sul piano storico, culturale, paesaggistico che andrebbero valorizzate. A noi invece sembra che vengano utilizzate in maniera speculativa, esattamente come è accaduto in passato.
La soluzione può essere il progetto pilota? Cosa ne pensate?
La sensazione è che questo famoso progetto pilota non riguardi noi, ma sia cosa di pochi. Nello specifico di chi ha sempre gestito tutto in queste zone. Noi siamo convinti che cure e ricette valide non ne verranno fuori finché non saranno coinvolte nei processi decisionali le persone. Progetti calati dall’alto servono a poco. Servono invece risposte concrete.
Ma se aveste voi a disposizione i 10 milioni del progetto pilota da cosa partireste per riorganizzare i servizi?
Il punto è che senza occupazione sarà impossibile invertire la rotta. Bisogna liberare le persone dal ricatto della precarietà. Per questo la nostra associazione aderisce a una campagna regionale finalizzata a presentare in Consiglio regionale la proposta di istituzione del reddito minimo garantito, che a noi piace chiamare reddito di dignità. Dopodiché, coscienti che l’industrializzazione forzata del dopo terremoto è stata fallimentare, dovremmo mettere in rete i saperi, le tradizioni e la cultura del territorio, lavorare sull’istruzione e sviluppare una proposta turistica.
Mi pare di poter dire che il vostro giudizio sulla classe dirigente irpina non sia positivo. C’è qualcuno a livello locale che vi sentite di salvare?
Non siamo un partito e non abbiamo ambizioni in tal senso. Non ci fermiamo però alla critica sterile della politica irpina: pensiamo che unire le forze possa essere utile a crescere e siamo aperti quindi al confronto e alla collaborazione con tutti. Come associazione, ad esempio, abbiamo aderito al Coordinamento dei comitati contrari all’eolico e il 27 dicembre terremo un’assemblea proprio a Sant’Andrea di Conza, alla Società operaia, su quella che per noi rappresenta una questione cruciale.
Dire “no” all’eolico, per citare De Luca, non è quindi “ambientalismo idiota”?
Assolutamente. Ma il problema non è l’eolico, è la speculazione. Non siamo contrari alle rinnovabili, ma all’eolico selvaggio, quello senza regole e che risponde esclusivamente al profitto. E’ evidente che si assiste a uno scempio ambientale perché le pale presenti superano i fabbisogni dei territori. E non possiamo parlare di verde Irpinia da valorizzare e consentire allo stesso tempo la loro proliferazione.
Appuntamento il 27 dicembre quindi…
Certo, speriamo di essere in tanti!