Spettacoli e cultura

Mamma Schiavona protagonista al Napoli Teatro Festival

La voce come effettiva parte del corpo, inserita in un contesto di anatomia delle passioni perché se non ci sono «sangue, linfa, nervi, liquido sinoviale, non c’è neanche voce». Il corpo come primo strumento di espressione. Il movimento e la transizione come simboli della vita stessa, realizzata oscillando tra i contrasti. La tradizione popolare come custode, a volte inconsapevole, di tutti questi elementi, e la sua diffusione e conservazione attraverso le generazioni tramite il racconto orale e i canti.

Era solo questione di tempo prima che Alexandre Roccoli – regista, drammaturgo e coreografo italofrancese – da sempre proteso ad indagare con i suoi lavori questo genere di aspetti e tematiche, si interessasse alla figura di Mamma Schiavona, alle celebrazioni della Candelora, e a tutto il bagaglio di riflessioni che porta con sé.

Nell’ambito del suo nuovo spettacolo, “Di Grazia”, in scena al Napoli Teatro Festival 2020, una parte della serata è riservata alla proiezione di un lavoro filmico incentrato sulla figura della Madonna Nera di Montevergine e del suo valore per la comunità dei femmenielli napoletani. “Mamma Schiavona” è stato girato e montato nel capoluogo partenopeo appena le norme per l’emergenza covid lo hanno permesso ed è stato ispirato, come spesso accade nel processo creativo di Roccoli, dal canto.

«Le voci in transizione, la trasformazione, è quello su cui mi interessa indagare. La storia di Mamma Schiavona, a metà tra sacro e profano, si presta perfettamente, essendo legata anche ad una sospensione tra femminilità e mascolinità – racconta – Quest’anno ho partecipato alla Juta del 2 Febbraio ed è stato davvero emozionante. Ho fatto il viaggio in pullman con l’Associazione Transessuali Napoli e ho ascoltato i partecipanti intonare le strofe dedicate alla Madonna. Durante il viaggio, c’era una vecchia cassetta dei canti in sottofondo, che mandava dei suoni distorti. Loredana Rossi (vicepresidente dell’Atn, ndr) aveva in mano un vecchio microfono che rendeva la voce metallica, e alternava pezzi di canzone a dichiarazioni come “Siamo piene di botox, tra poco esplodiamo”. La nebbia ci circondava. Era una situazione grottesca, mi sembrava di ascoltare una vecchia radio in un mondo super-contemporaneo. È stato un momento forte e mi sono detto che sarebbe stato bello mostrare ad un pubblico la versione di ognuna di questo canto».

Infatti, nel film che precede lo spettacolo, iconiche rappresentanti del movimento transessuale napoletano, come Cry Mascia, La Tarantina, Stefania Zambrano (foto in alto) e la stessa Loredana Rossi, rivivono a loro modo il rito di devozione alla Madonna: salendo dei gradini, inginocchiandosi, pregando ma, soprattutto, cantando. «È una situazione che sento collegata ai temi che mi interessano, come il fenomeno del tarantismo. Dalle danze di possessione passo alla musica tecno: indago gli stati d’alterazione. Anche con “Di Grazia” c’è un lavoro che non è un processo performativo nel senso classico del termine. Mamma Schiavona è in apertura, poi continua il nostro percorso attraverso varie dimensioni di linguaggio. Ogni pezzo della serata viene annunciato, separatamente, ma è come se fosse un tutt’uno, cinematografico. Anche la performer per gran parte del tempo è davvero dietro uno “schermo”, un velo, dietro il quale avvengono delle cose».

Per Roccoli ognuno incarna, in ogni momento, quel che è ma anche ciò che lo ha preceduto. Soprattutto se diverse età si intersecano nello stesso momento: «Stefania ha poco più di 30 anni, La Tarantina 86. Roberta, in scena, è se stessa ma anche sua madre e le nonne di tutti. Siamo nel “presente plurale».

«La bellezza di una performance aperta come questa è che ognuno può sviluppare una visione autonoma e indipendente, a seconda della propria sensibilità e della dinamica che si crea – commenta Roberta Lidia De Stefano, protagonista della pièce – “Di Grazia” è quasi una cerimonia. La grazia può essere chiesta, ricevuta, voluta quando si è in uno stato di pena come di esaltazione. Il collegamento tra l’alto e il basso siamo noi insieme al pubblico, come quando si va a messa. Però è fondamentale l’accezione sul femminile. Il punto di vista è comunque filtrato in un modo che per tanto tempo il patriarcato non ha concesso e che negli ultimi anni sta venendo fuori come esigenza: guardare la realtà con gli occhi dell’altro 50% del mondo, senza per questo innescare una guerra con il maschile. Vogliamo essere inclusivi». Proprio come Mamma Schiavona.

Rosaria Carifano

Giornalista nonostante tutto, autrice per caso. Insegno danza e cerco cosa abbiano in comune un corvo e una scrivania.

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