Nell’Irpinia dei nuovi ‘no’ si sotterrano i problemi

Quanti “no” sono arrivati dalla provincia di Avellino durante gli ultimi anni? Analizzati singolarmente sarebbero tutti dei “no” sacrosanti. E molto probabilmente sembrerebbero giusti anche presi nel complesso. No alla discarica sul Formicoso, al petrolio, agli elettrodotti, agli impianti per il trattamento dell’umido, all’acqua gestita da privati, alla galleria idrica Pavoncelli Bis e alle opere accessorie. Ci mettiamo pure la contrarietà all’eolico selvaggio, anche se pensiamo che i “no” siano giunti dopo un grosso guaio già fatto in precedenza. Li consideriamo dunque nel complesso e diciamo che questi “no” siano o siano stati tutti legittimi. Al 99 per cento almeno, perché non essendo scienziati rispettiamo le opinioni diverse.

A queste sacrosante contrarietà si stanno aggiungendo altri “no”. Che probabilmente rischiano di sminuire l’importanza dei primi. Soltanto per parlare degli ultimi giorni registriamo le manifestazioni contro il possibile arrivo dei migranti da Avellino a Torella dei Lombardi passando per Montecalvo. E citiamo solo le manifestazioni palesi. Le lenzuola bianche nel capoluogo, i manifesti di Montecalvo, l’assemblea pubblica a Torella dei Lombardi. A volte il dissenso nasce dal basso, direttamente dalla gente senza le mediazioni di partiti o di associazioni. Sull’acqua le cose stanno diversamente. Qui sono i comitati che si mobilitano contro le scelte della Regione. O delle Regioni, visto che è coinvolta anche la Puglia nel complicato puzzle. Ma gli stessi comitati auspicano la partecipazione popolare per la difesa dell’acqua pubblica.

In alcuni casi la politica non ha più il coraggio di decidere. Oppure decide male. In altri abdica al suo compito, ai suoi doveri. C’è qualcosa che decisamente non funziona.

In autunno il Consorzio dei Servizi Sociali “Alta Irpinia”, o meglio il suo presidente Stefano Farina, ebbe un’intuizione ottima (a nostro parere naturalmente). “Gestiamo i rifugiati con un grande progetto Sprar. Venticinque comuni. Dividiamo il numero di migranti così nessuno ne avrà in numero spropositato e i rifugiati verranno gestiti bene senza ricorrere ai centri di assistenza straordinari”. Proposta nemmeno presa in considerazione da molti suoi colleghi (compresa Torella) . Un paio di sedute e la questione venne archiviata. Tra poco sarà primavera e gli sbarchi riprenderanno. Qualcuno si organizza per un progetto comune di Sprar (Teora, Caposele e Villamaina per esempio). Altri, che pure volevano aderire, si arenano in un’assemblea pubblica dai risultati che fanno riflettere. Nel caso del Consorzio altirpino la non-decisione potrebbe portare Prefettura e privati a individuare strutture in molti paesi. E soprattutto a un numero di migranti non concordato con le comunità. Nella vicenda di Torella – e non entriamo ancora nel merito – si tratta comunque di una situazione delicata per un primo cittadino e per la sua giunta. Clamorosi dietrofront si registrano sui rifiuti. A Conza per esempio. Il sindaco decide di concorrere per ospitare l’impianto di trattamento dell’umido. Porta avanti una sua linea, buona o cattiva che sia. Poi spinto dai colleghi di altri paesi e dalle associazioni ritira la disponibilità. Segno di apertura e buon senso sicuramente, perché l’impianto coinvolgeva di fatto anche un altro territorio. Dal punto di vista strettamente amministrativo un comportamento poco lineare. Del resto la stessa maggioranza di Avellino offre la disponibilità a ricorrere al Tar contro l’ampliamento dello Stir di Pianodardine. In tutto ciò si intravedono all’orizzonte nuovi stop alla raccolta perché l’alternativa non si trova o nessuno ha il coraggio di proporla.

Al di là di questi esempi, dibattito di oggi e per i prossimi mesi, il problema principale non è neanche rappresentato dalla grande quantità di “no”. Il paradosso, ed è una sfumatura, riguarda piuttosto l’assenza dei sì: intesi come proposte o controproposte, pressing per eventuali compensazioni, iniziative concrete a sostegno di una filosofia di sviluppo. Troppe le iniziative pensate e poi arenatesi per volontà politica, scarsa capacità di trattare o di agire. Pensiamo al distretto energetico dell’Irpinia d’Oriente di qualche anno fa. Pensiamo al fatto che i ristori per l’acqua restino poca cosa. O che sul turismo si siano perse occasioni ghiotte, vedi gli impianti del Laceno. E soprattutto al fatto che i mostri costruiti in questi decenni non abbiano portato alcun beneficio in termini di strutture per giovani e vecchi, di servizi e di opportunità.

E purtroppo non è solo una malattia della politica. La gente d’Irpinia s’incazza e s’indigna contro l’ipotesi di pochi rifugiati. Diventa addirittura una questione di sicurezza, quando ciclicamente le case vengono svaligiate da quelli che di sicuro africani e asiatici non sono. Su altri versanti l’apatia. Dov’era la gente quando gli operai della Ocm di Nusco erano in tenda sotto ogni agente atmosferico possibile? Perché non nascono comitati permanenti per chiedere più sicurezza sull’Ofantina? Perché sul Progetto Pilota non si sono visti comitati per valutare l’azione dei venticinque sindaci altirpini? Per molti la priorità è non vedere “i profughi” nelle piazze deserte dei paesi deserti. E la politica, spesso i sindaci, potrebbe correre dietro alla spinta popolare anche quando la ritiene errata. Se l’ultima tendenza diventa prassi le cose si mettono male. Rimandare le decisioni, sotterrarle temporaneamente, è una pratica pericolosissima. In un contesto simile ragionare di sviluppo o rinascita sarà pura utopia.

Giulio D'Andrea

Direttore responsabile di Irpiniapost, classe 1978, si laurea in Giurisprudenza a Perugia e si perfeziona in Psicologia forense a Genova. Mostra subito insofferenza per i tribunali e soprattutto per le cancellerie. Inizia il percorso giornalistico nel 2006, lavorando su carta stampata, internet e televisioni tra Campania e Lazio. Attualmente collabora con il quotidiano “Il Mattino”. Leggeva molto e suonava anche di più, poi la visione ossessiva delle serie Tv gli ha impedito di continuare.

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