Come avevamo profetizzato qualche tempo fa, i timori stanno emergendo.
“I petrolieri fuggono dal mare, ma non è che ce li ritroveremo tutti sulle montagne?”. Così scrivono su Facebook gli attivisti di “No trivellazioni petrolifere in Irpinia”. Questo referendum inizia a mostrare tutti i suoi limiti, anche se qualche effetto sta già iniziando a produrlo. La società inglese Transunion Petroleum rinuncerà alle ricerche di gas e petrolio nel Golfo di Taranto e nel Canale di Sicilia. Con il referendum alle porte meglio non rischiare. La situazione è confusa, tutto pare contraddittorio.
Facciamo sempre un minimo di chiarezza, che non è mai superflua. Dei sei quesiti originariamente proposti sulle modifiche allo Sblocca Italia, uno è riuscito a sopravvivere. Il quesito riguarda solo la durata delle piattaforme già attive in mare che si trovano a una distanza inferiore alle 12 miglia dalla costa. Ai cittadini sarà chiesto se una volta scadute le concessioni vogliono che vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane, anche se nel sottosuolo sono ancora presenti gas o petrolio. Il quesito riguarda la durata delle autorizzazioni già rilasciate per le esplorazioni e le trivellazioni dei giacimenti in mare.
Come si può ben percepire, non sarà affatto un voto per dire sì o no al petrolio. Ma il referendum e un eventuale risultato contro i petrolieri è visto da molti ambientalisti come un segnale a Renzi, un colpo al governo. Insomma, se dovesse prevalere la linea “green” il governo dovrebbe rivedere la sua politica energetica. Dovrebbe. Intanto qualcuno paventa la possibilità che le piattaforme vengano spostate nel lato croato dell’Adriatico. Il che a occhio e croce equivale a dire perdita di quattrini e medesime conseguenze negative sul mare.
In Irpinia il referendum si profila come meramente simbolico. Gli effetti della consultazione sarebbero lontanissimi dalla provincia di Avellino, ma una massiccia adesione contro il petrolio potrebbe avere un effetto dirompente sui nostri rappresentanti politici. Chiamati, nel caso, a difendere il baluardo Gesualdo dai petrolieri. Questo perché tutti i nostri rappresentanti politici hanno detto “no” alle trivelle in questi mesi e in questi anni. Per amore della terra o per propaganda, per spirito di emulazione o per sincero sentire.
Ma con o senza quorum, e comunque vada il voto, le parole dei No Trivellazioni petrolifere in Irpinia fanno riflettere.
“Il sacrosanto referendum no triv non diventi la sagra della demagogia e della paranza ma la chiave per un dibattito serio per la riforma dell’intera normativa che disciplina le ricerche petrolifere e su questo paradossale sistema energetico italiano”. Intanto sembra che il referendum sia già diventato la sagra della demagogia. E ragionando solo di Irpinia aggiungiamo che questo referendum, per i comitati e per tutti i difensori del verde, può diventare “la sagra dell’autogol”. Non sta a noi dire come dovranno comportarsi gli irpini il 17 aprile. Ma pensiamo che questo referendum continui a essere presentato e affrontato male.
(foto da www.abo.net)