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Progetti pilota oltre l’Irpinia, l’Orvietano è già un modello

Circa 6 milioni di cofinanziamento da parte dei privati, gare di appalto in fase di avvio o già avviate, una gestione in forma associata della Protezione civile che è stata presa a modello nazionale. E ancora: la presenza di un coordinatore tecnico locale, responsabile dal punto di vista amministrativo della realizzazione degli interventi. C’è un progetto pilota per le Aree interne, quello del Sud Ovest Orvietano in Umbria, che viaggia spedito e che tira già le prime somme sul lavoro fatto negli ultimi 5 anni in un’area di 20 paesi. Quasi tutte realtà di piccole e piccolissime dimensioni cui si aggiungono un centro oltre i 20mila abitanti (Orvieto) e un altro (Città della Pieve) di circa 8mila. Ne abbiamo parlato con Carla Lodi, responsabile dell’ufficio cultura del Comune di Orvieto e coordinatrice tecnica della sperimentazione. Una conversazione utile a conoscere altri contesti, ma pure a comprendere meglio quanto accade (o non accade) in Irpinia.

Dottoressa Lodi, da quanto tempo il suo territorio lavora alla Strategia Nazionale Aree Interne?
Abbiamo iniziato nel 2014, la nostra è stata come l’Alta Irpinia un’area pilota, scelta tra tre in Umbria. Quando tenemmo il primo focus il Comune di Orvieto, individuato come capofila tra venti paesi, era guidato da un altro sindaco. Nel giro di due tre mesi infatti ci furono le elezioni amministrative e subentrò l’attuale primo cittadino. Io seguo tutta la vicenda dall’inizio e siamo stati tra le prime dieci aree pilota a consegnare l’accordo di programma quadro. A dicembre 2017 è stato approvato e ora siamo nel vivo. 

Venerdì scorso si è tenuta un’iniziativa “Fare comunità” dedicata alla divulgazione degli obiettivi e dei primi risultati.
Sì, la festa dell’area…

E’ interessante la scelta di definirla “festa”, parliamo pur sempre di un progetto permeato da burocrazia e regole che poco hanno a che fare con una festa.
E’ vero. L’area pilota Sud Ovest Orvietano tiene insieme venti Comuni e si rapporta ad esempio con la Regione Umbria e il comitato nazionale Aree interne oltre all’Agenzia per la Coesione. Dire che non c’è burocrazia sarebbe una balla mostruosa. Ma per la prima volta abbiamo sperimentato una nuova forma di progettazione, per la prima volta si è messa in campo una strategia partita dal basso, con il coinvolgimento di associazioni, scuole, cittadini che hanno condiviso la loro visione per la propria terra per i prossimi dieci anni. Ci siamo chiesti cosa volessero gli abitanti di questi luoghi e li abbiamo ascoltati. La strategia è stata costruita da tutti: non è la sommatoria di progetti presentati dai vari Comuni, ma è frutto della selezione operata da tutti i sindaci. E i criteri sono stati l’utilità e la rispondenza ai bisogni, non l’appartenenza all’uno o all’altro Comune. La burocrazia, sì, c’è e ha un peso: le varie forme di finanziamento europeo come il Psr o l’Fse sono strettamente incardinate in regole. Abbiamo quindi dovuto calibrare le idee, limare le difficoltà, far dialogare le regole dei fondi con la progettualità dell’area interna. A tal proposito, aggiungo che bisogna chiedere maggiore semplificazione all’Europa perché non è possibile che un progetto particolarmente sentito dal territorio debba essere accantonato perché non perfettamente rispondente alle procedure.

Però lei prima parlava di festa…
Sì, festa perché in ogni scelta compiuta la comunità trova uno spazio. Costruiamo assieme una comunità diversa. Prendiamo gli interventi sulla sanità. Leggendo le schede non se ne comprende fino in fondo il senso. Noi abbiamo firmato una convenzione con i medici di base e siamo intervenuti con adeguamenti strutturali per realizzare la Casa della salute di Fabro. Nelle schede si legge che abbiamo realizzato ascensori, ampliato i bagni. Oppure che abbiamo fornito dei kit per lo scompenso cardiaco che consentono la lettura dei dati a distanza. O il centro per l’ippoterapia. Sembrano azioni scontate, ma così non è: per la prima volta diamo la possibilità a 10mila cittadini dell’area montana di avere un pronto intervento e delle visite specialistiche a pochi minuti da casa, senza orbitare tutti sull’ospedale di Orvieto. Abbiamo utilizzato fondi delle leggi di Stabilità nazionali e ora stanno partendo tutte le gare.

Perché le cose si realizzino sono necessarie risorse, lo ha appena detto. Tra nazionali e regionali quante ne utilizzerete?
Complessivamente sono interessati 14 milioni di euro ai quali si aggiungono circa sei milioni di cofinanziamento dei privati.

Una cifra interessante.
Sì, ma sarebbe potuta essere maggiore. All’inizio i privati non hanno creduto in questa forma di collaborazione, sono stati sul bordo. Ora che vedono operatività si registra un avvicinamento. Inizialmente erano scettici: “sarà la solita cosa degli enti pubblici”. Il terzo settore, molto avanzato qui, ci ha invece creduto da subito. La piccola e media imprenditoria, soprattutto in ambito agricolo, ragiona ancora con una mentalità da latifondo e i bandi del Psr non aiutano in questo senso.

Vi siete dati scadenze per raccogliere i primi risultati concreti?
Entro un anno e mezzo avremo avviato tutti i progetti. Io credo che, al di là delle decisioni del Governo sulla Snai, ormai Stato e Regioni si muovono su una progettualità condivisa e che difficilmente verrà accantonata. Però non si inverte la tendenza all’abbandono demografico con la bacchetta magica. E’ un processo che richiede tempo e scelte. Come quella di realizzare un asilo nido dove non c’era o di non chiudere le pluriclassi. Le famiglie hanno bisogno di servizi per restare.

Il Sud Ovest Orvietano però è un territorio molto vasto (oltre mille chilometri quadrati) ed eterogeneo. La stessa Orvieto conta 20mila abitanti e non corre il rischio spopolamento dei micro borghi. Come convivono esigenze evidentemente diverse?
Orvieto ha un’autostrada e una ferrovia, un ospedale; è un centro turistico. Ha sicuramente servizi. Ma non bastano. Serve il lavoro per trattenere i giovani in queste terre, altrimenti di qui a poco anche il mio paese sarà deserto. Ma soprattutto 20mila abitanti sono nulla rispetto alle aree metropolitane e quindi Orvieto può solo beneficiare di un’aggregazione che conta circa 60mila abitanti. Solo così si acquista un diverso peso politico.

Avete costituito un soggetto giuridico ad hoc, per semplificare l’accesso alle risorse?
No. C’è un referente, cioè il sindaco capofila, e ci sono dei gruppi di lavoro informali ai quali partecipano in base alla loro specifica competenza i diversi sindaci. Poi c’è il coordinatore tecnico, ruolo che ricopro io. Abbiamo associato varie funzioni: ad esempio, la Protezione civile. Oggi abbiamo 450 volontari che fanno capo alla sede di Orvieto e che si muovono su tutti e venti i Comuni, garantendo l’emergenza ma anche e soprattutto prevenendo il dissesto idrogeologico. Abbiamo costituito una comune promozione economico-turistica del territorio, mentre prima si camminava ognuno per conto suo.

Del resto il motto della strategia Sud Ovest Orvietano è “Una terra ricca di tempo tra borghi storici, beni culturali e ambientali”. Puntate insomma su cultura e turismo per creare occupazione.
Sì. Abbiamo due grandi potenzialità. In pianura c’è una presenza forte tusco-romana che ha dato vita in passato al Parco Archeologico Orvietano (Paao). Da anni università americane organizzano in quest’area semestri di studio e finanziano scavi che diversamente non avremmo potuto sostenere. Poi verso la Toscana, tra Città della Pieve e dintorni, abbiamo borghi medievali con castelli e una rete sentieristica naturale importante, dalla Francigena alla Teutonica, che si connette alle altre consolari. Insediare una fabbrica qui non ha senso. Mentre possiamo valorizzare prodotti come il vino, poco noto. Proprio per questo abbiamo avviato un agrario con indirizzo vitivinicolo a Fabro. Così come a Città della Pieve abbiamo sostenuto il liceo a indirizzo musicale implementando ad Orvieto un laboratorio musicale polifunzionale. Sono due percorsi che possono preparare giovani sulla base delle potenzialità del territorio.

Grazie della disponibilità, dottoressa.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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