‘Progetto pilota, uscite da stanze e convegni’

Di Ernesto Donatiello e Luisa Napoliello

L’obiettivo di Fabrizio Barca è quello di rompere gli schemi provando a sperimentare economie e pratiche nuove attraverso strumenti e soluzioni innovative capaci di configurarsi come punti di svolta; infatti Barca sostiene che “l’innovazione territoriale ha bisogno di libertà, di luoghi dove provare a fare cose nuove senza troppi vincoli”. Le aree interne sembrano essere adatte a tutto ciò in quanto danno segnali di vitalità.

Da un’intervista di Alberto Cottica di chefuturo.it all’ex Ministro emerge come in queste zone nascano produzioni di eccellenza legate al turismo, alla cultura, all’agrifood. Al contempo resiste la scuola che in molti casi rilancia, arricchendosi di tecnologia. Barca pensa che: “(…) lo stesso abbandono del territorio è a un millimetro dal rovesciarsi in una grande opportunità. Perché nelle aree interne c’è spazio. C’è attenzione delle comunità, c’è fame di innovazione, ci sono spazi a basso costo (e spesso molto belli) in cui portare nuove idee e nuove persone”.

Da queste parole è chiaro che con il Progetto Pilota per l’Alta Irpinia si ambiva anche ad innovare un territorio da sempre abituato ad un suo metodo di gestione risultato fallimentare nel tempo e nei risultati. Avviatosi durante il periodo della ricostruzione post terremoto e sedimentatosi durante la gestione dei cicli di programmazione europea (2000-2006, 2007-2013 e ora 2014-2020) tale metodo non doveva essere trasferito sul progetto Pilota, né altrove.

Su tali premesse ci chiediamo relativamente al Progetto Pilota e alla sua costruzione:

come mai di fronte ad una tale proposta di progettualità di così ampio respiro ed innovazione ritorna il metodo “stanza-convegno-priorità-nomine-parole-somme e stanziamenti”? Perché non si fa riferimento ad un programma coerente con una vision in grado di trattenere le future generazioni? Perché non si discute di nuove pratiche capaci di avviare una rinnovata economia?

Ai tavoli di discussione, fin dall’inizio del processo, avremmo desiderato la partecipazione effettiva del territorio aldilà dei rappresentanti istituzionali; un tessuto sociale costituito, ad esempio, dai ricercatori irpini, dai Gal, dalle associazioni, dalle imprese che rappresentano buone prassi a livello nazionale nei vari settori del progetto.

Tante le tecniche per raccogliere i contributi dal basso in grado di portare alla costruzione di documenti e progetti condivisi che lo stesso ambito territoriale, quando ne ha avuto possibilità, ha mostrato la capacità di mettere in atto (vedi ad esempio Aperiattivi 2.0, Piano Territoriale delle Politiche Giovanili 2010 a Lioni), perché non utilizzarle?

Il Progetto Pilota è possibilità di sperimentazione e, per questo, dai tavoli di lavoro dovrebbero emergere termini come co-working, co-living, smartrural, economia della condivisione e perché no, l’abusato start-up. Parole, queste, che non sono semplicemente inglesismi: espremono innovazione e possibilità di un’economia differente che non si manifesta solo nel mondo del digitale e della tecnologia ma che hanno anche effetti reali sulle economie locali. Economie differenti che altrove funzionano e che non escludono nessuno, da sperimentare anche in Alta Irpinia con questa (forse) ultima possibilità che ci viene offerta.

 

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