Strappa una risata amara, di quelle che non riempiono la pancia e i polmoni e non appagano, il romanzo “Allegri che tra poco si muore” (Artestampa, Modena), opera prima di Luigi Capone. Nuscano, 33enne, insegnante della scuola secondaria e per questo emigrato al Nord, il giovane scrittore viene allo scoperto con un testo che racconta la sua Irpinia paranoica, già da qualche anno disegnata senza la stucchevole retorica della bellezza e della restanza attraverso l’omonima pagina Facebook. Si ride amaramente leggendo “Allegri che tra poco si muore” (in vendita da mercoledì 20 giugno su Ibs, Amazon e sul sito della casa editrice Artestampa di Modena) per il grottesco che riempie le pagine di non-vita. Un’esistenza sconsolata e sconsolante, depressa e deprimente, che l’autore prova a tirare fuori mettendo a nudo la storia del protagonista, il suo alter ego Luca, quasi a volersene liberare.
Le scene sono ambientate tra flashback, visioni e allucinazioni a Montecupo, e poi nelle città: Roma, Torino, Bologna. Montecupo è “uno dei tanti luoghi che ti fanno chiedere che campi a fare. Fuori di lì però le città erano posti talmente invivibili che veniva voglia di rifugiarsi altrove. Ma dove? Forse il segreto era non fermarsi mai oppure non partire mai”, scrive Capone. C’è tanta Irpinia in questo paese dal nome immaginario e fortemente evocativo: un luogo cupo, completamente privo di colori come il mood di chi descrive e si racconta raccontando con il proprio personale sguardo una generazione di precari, cresciuti col miraggio del posto fisso che nessuno più gli darà, di alienati da bar di periferia, di trentenni in fuga da tutto, ma incapaci di fuggire veramente.
Da Bukowski a Celine, sono diversi i riferimenti letterari dell’autore. Per un romanzo che parla di Irpinia, ma che potrebbe raccontare molte province interne del Sud Italia o più in generale dell’Appennino. Che spiega cosa è l’ultra periferia, quella che va oltre i casermoni metropolitani. Dove non esistono stimoli e così, dopo aver letto tutti i generi letterari, la poesia antica e la poesia contemporanea, aver visto film, ascoltato musiche etniche, medievali, sacre, rock, pop, blues e jazz, non resta molto da fare. Alcol e droghe diventano le illusorie vie di uscita da una realtà che non piace e che, pericolosamente, si prova a ricostruire con l’immaginazione. Ma non c’è nulla di rassicurante alla fine della corsa. Drogata è pure la percezione delle cose nella generazione dei grandi, nella loro mente impregnata di democristiana assuefazione. Così il politico rende difficile la vita a chi vuole di meglio.
C’è l’Ofanto tra le righe del romanzo, c’è la metafora del provolone impiccato, c’è persino una Avellino-Rocchetta che non porta più passeggeri, diventata location per qualche concerto. C’è il paradosso di un treno che passa di rado per poi non passare proprio più, e che porta via a Luca il suo grande amore. “Quel treno l’hai preso solo tu e te ne sei andata, quando mi presentai alla stazione io era già finito tutto”, ricorda l’autore. Proprio la storia con una ragazza, Emma, è centrale nelle pagine. Lei riuscirà ad avere la vita che desidera, Luca no: intrappolato in un’esistenza precaria che gli impedisce di portare avanti relazioni stabili, di assumere impegni.
“Ho sempre scritto per evitare di parlare con la gente – ci confessa Luigi Capone -. Ma adesso credo anche che la trasmissione delle conoscenze e la lettura possano avere un ruolo educativo, pure negli adulti. Certo, dietro alla scelta di scrivere un romanzo, c’è anche la componente della denuncia di un sistema folle, che vede una schizofrenica contrapposizione Nord-Sud. Se sei meridionale e hai due soldi, ti trasferisci a Milano. Se non ne hai, resti a Montecupo“