‘Teatro a Sant’Angelo, il piccolo miracolo’

“Ieri sera abbiamo visto un piccolo miracolo. Durante le prove in pochi si erano affacciati, anche solo per curiosare. Invece ieri sera è scattato qualcosa di inaspettato nella gente del posto e la partecipazione è stata buona oltre le aspettative”. Marina Rippa è reduce dalla prima dello spettacolo “La casa di Bernarda Alba” portato dalla sua compagnia “F.pl. Femminile plurale” e dal Napoli Teatro Festival a Sant’Angelo dei Lombardi. Un esperimento complesso, nell’anno in cui sotto la direzione di Franco Dragone il Festival diventa itinerante toccando località di tutta la regione.

Nell’anfiteatro del centro storico santangiolese, nascosto tra case basse e vicoli in pietra, ieri sera c’erano almeno 300 persone. Tanta gente del posto, molti arrivati dai paesi vicini, una trentina dal napoletano, persino due tarantini. A 80 anni esatti dalla stesura da parte di Federico Garçia Lorca, il testo ritorna alla vita con una messinscena, curata assieme ai costumi da Alessandra Asuni e dalla stessa Rippa, che ha subito molto l’influenza del luogo. Questo posto è carico di memoria, le pietre di questo paese parlano, raccontano presenze che nulla hanno a che vedere con l’esoterico, ma che sono parte della comunità – spiega Rippa – C’è un perenne rimando nelle conversazioni al terremoto dell’80, a quella ferita ancora aperta, a quelle persone che non ci sono più e con le quali però è rimasto vivo il legame. Basti pensare che eravamo da poco arrivate qui quando è stato realizzato lo spettacolo “Gli angeli di Santa Maria”. Ecco perché abbiamo utilizzato dei veli per la messa in scena, perché volevamo sottolineare l’effimero confine che c’è tra la vita e la morte”.

Ma Sant’Angelo è entrato nello spettacolo anche attraverso i racconti di un gruppo di donne e uomini che hanno aperto le loro abitazioni alla compagnia napoletana: l’ostentazione del corredo è carica di elementi locali, il brindisi altrettanto. Altri particolari sono stati tratti dai racconti dei rifugiati ospitati dal centro Spraar. “Non avevamo in mente questo quando la Fondazione Napoli Teatro Festival ci ha proposto un esperimento di teatro residenziale in Alta Irpinia, avremmo voluto coinvolgere di più la gente del luogo in prima persona, fuori e dentro la scena – continua Rippa – ma il prodotto finale è stato molto soddisfacente e andiamo via arricchite dall’aver vissuto due settimane in questo paesino, incontrando le signore in macelleria o qualche giovane al bar”.

Lo spettacolo si replica stasera, giovedì, dalle ore 20. Nove le attrici selezionate a partire da maggio dello scorso anno. Tutte molto intense nella loro interpretazione. Intensissima la scena dello scioglimento dei capelli della dispotica Bernarda, con il loro pettinarli che diventa pena, supplizio autoinflittosi. Un’opera capace di raccontare tutta la complessità del mondo interiore femminile. Di parlare di convenzioni, di gabbie, tombe fisiche e ancor di più mentali che dividevano e dividono la società in regno maschile e femminile. C’è una grande ribellione in quelle donne prigioniere dei loro ruoli di madre, figlie e serve; schiacciate dagli uomini, protagonisti delle loro vite senza mai apparire in scena. Prigioniere, come Bernarda, anche del loro stesso desiderio di bastarsi, di pensare di poter stare da sole, di sentirsi forti, di poter tenere tutto sotto controllo. Ma qualcosa a Bernarda sfugge: la follia di sua madre, Maria Josefa, e la sua voglia di libertà fuggono alla razionalità e si insinuano nei caratteri delle sue nipoti. Ostinate nel cercare l’amore fino alla morte. Così si consuma un “femminicidio” di altri tempi – per usare un’espressione forte – dove a uccidere non è la mano dell’uomo, ma le regole della società che lui stesso ha creato, il suo bisogno di sentirsi padrone e giocoliere con la vita altrui.

“Pensiamo di ritornare, di ripetere in questi territori questo tipo di esperienza – conclude Marina Rippa – Speriamo di avere la stessa partecipazione anche stasera. Abbiamo visto tra gli spettatori gente che solitamente non esce mai, che non è solita seguire eventi culturali, soprattutto tra i più grandi d’età, ma c’erano anche tanti bambini. Ecco, quello che è emerso con evidenza durante questa residenza è che questo paese vive una profonda frattura generazionale: c’è la memoria per chi ha più di quaranta anni e fino all’età scolastica ci sono buone opportunità. Nel mezzo restano i giovani che non riescono a vedere la luce, che si chiudono in loro stessi, si abbattono e deprimono e vivono come nell’opera prigionieri della loro condizione”.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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