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Un team per Sant’Andrea di Conza, ‘la cultura per la vivibilità’

Un atto voluto, non dovuto, eppure percepito come tale nell’impegno profuso. Una sfida che necessita di confronto continuo e volontà di travalicare le singole amministrazioni per essere vinta.  Sono tutti concordi con questi presupposti i principali animatori del Piano di Vivibilità di Sant’Andrea di Conza, e lo hanno ribadito con fermezza nella conferenza stampa che ufficializza il via ai tavoli di confronto e che si è tenuta questa mattina al Circolo della Stampa di Avellino.

«È un obiettivo importante, ambizioso e impegnativo – ha esordito il sindaco di Sant’Andrea, Gerardo D’Angola -. Questo progetto si pone lo scopo di dimostrare che anche nei piccoli paesi si può vivere, e non soltanto sopravvivere, dignitosamente. In che modo? Attivando servizi ma, soprattutto, programmando cultura e coinvolgendo tutti i soggetti interessati, dai cittadini alle comunità limitrofre, e man mano risalendo fino agli enti. Per partire con il piede giusto vanno ascoltate tutte le categorie sociali, tutte le fasce d’età. Partiamo in autonomia, senza aspettare finanziamenti di alcun genere dalle istituzioni. Coinvolgeremo i privati, le università, le associazioni. Ho le idee chiare, ma il confronto con la mia comunità è imprescindibile».

«Sant’Andrea di Conza è un esempio di come tramite azioni meritorie si possa dare davvero vita ad una prospettiva diversa. Qui l’utopia diventa pragmatica, mettendo insieme agli aspetti ludici anche gli atti mministrativi e le scelte strategiche – ha aggiunto l’architetto Mario Pagliaro, già curatore del Festival del Paesaggio – Le piccole dimensioni, in questo caso, sono un vantaggio. Nelle grandi città si finisce spesso solo con l’immaginare delle linee di indirizzo, in questo caso possiamo lavorare sul serio».

Un esempio? La possibilità, grazie alla recente legge regionale, di mettere a frutto lo strumento delle cooperative di comunità: «Se non viene fermato dalla retorica. Intanto a noi spetta il compito di organizzare gli entusiasmi, che spesso nei territori nascono in modo sporadico e come frutto di volontariato, e creare una filiera che si muova compatta in una direzione comune. I problemi delle aree interne li conosciamo tutti molto bene, il principale è quello dello spopolamento, additato come uno dei mali degli ultimi decenni. Invece i dati ci dicono che è dalla fine del 1800, fatta eccezione per un breve periodo post-terremoto, che la tendenza è questa. Ecco perchè ci interessa agire, più che resistere». Pagliaro è consapevole che questa non è una strada che si può percorrere in solitudine, «ma Sant’Andrea è in partenza e sarà la prima realtà a voler cambiare seriamente prospettiva perché questo piano è una proposta che il paese sta mettendo in atto soprattutto per se stesso. Si parla sempre tanto del concetto di “rete” e del bisogno di crearne, ma raramente ci si interroga sul ruolo che all’interno di una rete si può e si vuole assumere. Qui lo stiamo già facendo».

Le conclusioni affidate a Ugo Morelli, professore di Psicologia del lavoro e dell’organizzazione e di Psicologia della creatività e dell’innovazione presso l’Università degli Studi di Bergamo: «Sant’Andrea di Conza si sta facendo pioniere di processi inevitabili: il cambiamento del concetto di margine, la necessità dell’integrazione tra culture, l’importanza di creare nuove opportunità di crescita guardando ai propri punti forza. Se un luogo piccolo e marginale diventa fecondativo di un nuovo modo di vivere può guidare il cambiamento invece di subirlo e valorizzare una propria identità ed autonomia, fondamentali se si guarda al lungo termine. Spesso, infatti, i progetti falliscono perché nascono da forme di assistenzialismo che per loro intrinseca natura non garantiscono continuità. La stessa cosa accade per le famose “reti”, avviate sulla spinta di grandi euforie. Bisogna programmare e ragionare. Capire i propri punti di forza singoli e comprendere che, in caso di collaborazioni, non è necessario “sposarsi”, ma basta convivere per realizzare i punti in comune e, per altre questioni, continuare ognuno per la propria strada».

 

Tre in particolare i punti dai quali partire: «Quello urbanistico, proprio inteso come il nucleo delle persone che abitano e vivono il paese, residenti e non; quello economico, aiutato dalla componente virtuale che annulla le distanze; quello paesaggistico, di rara bellezza e ancora non deturpato. Grazie a questa performatività del suo margine, Sant’Andrea di Conza può trasformare il suo status da problematico a propositivo. Il lievito? La cultura. Non intesa come costruzione di nuove cattedrali nel deserto o nell’organizzazione della centesima sagra che crea file di automobili per un solo giorno all’anno, ma come programmazione per tutto l’anno con la vivibilità al centro dei suoi obiettivi». Le proposte già non mancano. Da un Parco della Cultura e dell’Arte che ospiti artisti in residenza ad una Summer School del paesaggio che si aggiunge all’omonimo Festival, fino a dare nuova linfa alla Festa del Libro con la tematica della vivibilità e del paesaggio: «Tutto sarà messo in opera affinché si renda concreta la possibilità di poter fornire ai cittadini di Sant’Andrea una vita effettiva e scelta, e non assistita».

Rosaria Carifano

Giornalista nonostante tutto, autrice per caso. Insegno danza e cerco cosa abbiano in comune un corvo e una scrivania.

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