Finalmente allo stesso tavolo gli enti e le associazioni che a breve firmeranno il contratto di fiume dell’Alto Ofanto. Che quindi proveranno a salvare e riqualificare sponde e acque. A Lioni, sala consiliare, c’erano tutti. Dai promotori ovviamente, Gal Cilsi più amministrazioni comunali e associazioni come Legambiente. Fino ad enti come Asl, Arpac, Asi e autorità di Bacino varie. Sorveglianti delle acque o gestori dei suoli industriali che insistono sul fiume. Da tutti l’ok allo strumento del contratto, che molto probabilmente sarà formalizzato a fine settembre. Che cos’è il contratto? E’ uno strumento normativo, volontario, che punta a creare una rete, una regia unica, che possa intervenire a tutela del corso d’acqua. Ma non solo. Si punta anche a generare posti di lavoro, sviluppo, con nuove forme di architettura sostenibile. In sintesi, “mettiamo a posto il fiume e facciamo nascere strutture“. Come? Con i fondi economici ovviamente. Non bastano le buone intenzioni. Ma i soldi ci sarebbero, ha spiegato Mario Salzarulo. Sia dall’Europa che dall’ordinario. Tutto rose, fiori e risorse in abbondanza? No. A Lioni emergono ancora una volta le contraddizioni del sistema acqua in Irpinia. Così il commissario Ato Calore Irpino, Giovanni Colucci, evidenzia ancora una volta il paradosso del potabilizzatore di Conza. Opera di proprietà pugliese su suolo campano. E la dottoressa D’Andrea dell’Asl, che parla anche per l’Arpac, dice: “Esistono ancora troppi di competenze e autorità, bisogna mettere ordine. Ci riferiamo ad attività come la pesca. Ci troviamo con diversi soggetti che intervengono con norme e attività sulle acque. E allora ben venga contratto di fiume. Siamo a disposizione per ogni forma di collaborazione”. Il contratto come strumento di sintesi? Si spera. Perché intanto il caos burocratico e normativo sulle acque è ben lontano dall’essere risolto alla radice.
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