Giorgia Meloni proibisce i tatuaggi per legge: “altrimenti non lavorate” | Te li devi far cancellare col laser

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni (Fonte X) IrpiniaPost.it

Un caso recente riporta all’attenzione un tema delicato: tatuaggi e lavoro. Una decisione che ha sollevato proteste e discussioni accese.

Un semplice segno sulla pelle può diventare motivo di esclusione dal lavoro. È giusto che un tatuaggio condizioni il futuro professionale di una persona?

La questione divide l’opinione pubblica e riporta al centro un vecchio interrogativo: quanto conta davvero l’apparenza rispetto alla competenza?

Una vicenda giudiziaria ha reso concreto questo dilemma, trasformando un dettaglio estetico in un ostacolo insormontabile.

Una storia che intreccia regole, regolamenti e il sogno di indossare una divisa. Cosa è successo?

Quando un tatuaggio diventa un problema

Il mondo del lavoro impone spesso regole che vanno oltre la professionalità e le competenze. L’immagine, soprattutto in determinati ruoli pubblici, è considerata parte integrante della funzione. Così capita che tatuaggi, piercing o altri segni distintivi vengano percepiti come elementi incompatibili con il decoro dell’uniforme. È un tema che ritorna ciclicamente, sollevando discussioni tra chi difende la libertà di espressione e chi invece sostiene la necessità di rispettare standard estetici precisi.

Il caso ha suscitato scalpore perché riguarda un concorso pubblico e una decisione che ha stravolto il percorso di vita di una candidata. Superare prove selettive e visite mediche non è bastato: i tatuaggi visibili hanno rappresentato il punto di rottura, segnando il confine tra idoneità e esclusione. Una situazione che mette in luce quanto sottili possano essere le differenze tra regola e discriminazione.

Tatuaggio caviglia
Tatuaggio caviglia (Canva) IrpiniaPost.it

La sentenza che ha fatto discutere

La vicenda si è svolta a Lanciano, in Abruzzo, dove una donna di 35 anni si è vista respingere il ricorso al Tar dopo essere stata esclusa dall’assunzione come vigile urbano. Il motivo: due tatuaggi visibili ai piedi, una farfalla e un cuore con il nome del padre. Nonostante avesse superato le prove del concorso, la commissione medica ha applicato il regolamento che vieta tatuaggi nelle parti del corpo non coperte dall’uniforme, valida sia per uomini che per donne.

La candidata, difesa dai suoi legali, ha denunciato una discriminazione di genere, sottolineando come l’uso della gonna renda più visibili i tatuaggi rispetto alla divisa maschile. Il Tar di Pescara, tuttavia, ha respinto l’argomentazione ribadendo che anche i vigili uomini, con la divisa estiva a pantaloncini corti, sarebbero stati sottoposti allo stesso vincolo. Il sindaco ha espresso dispiacere personale, ma ha confermato la correttezza giuridica della decisione. La donna non si arrende e annuncia un nuovo ricorso al Consiglio di Stato, rendendo la sua battaglia simbolo di un dibattito che va oltre il singolo caso e tocca il delicato equilibrio tra diritti individuali e regole istituzionali.