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Irpinia vittima di devastazione e conservatorismo

Nell’Irpinia che si interroga sull’opportunità di realizzare un biodigestore a Chianche, nel cuore dell’areale del Greco di Tufo, venerdì 13 settembre 2019 sarà ricordato per uno dei più grossi incendi che abbia interessato una fabbrica in questo pezzo di mondo. L’unica buona notizia è che non si sono registrati feriti e vittime, nonostante il rogo sia divampato nel perimento di un’azienda che produce componenti per batterie, la Ics (Industrie composizione stampati), localizzata nell’insediamento industriale Asi di Avellino, gruppo Se.ri con sede legale nel casertano e diramazioni in tutta Italia e all’estero. Sul disastro ambientale procurato e sulle cause invece sarà la Procura a indagare.

Da una parte quindi le proteste ormai sedimentate nei mesi dei produttori dell’eccellente bianco Docg irpino, Consorzio di tutela Vini d’Irpinia e Coldiretti in testa, contro la disponibilità del sindaco chianchese Carlo Grillo di ospitare nel suo paese un impianto per il trattamento di rifiuti di tipo umido. Una scelta che per chi avversa il progetto addenserebbe nubi sull’immagine delle terre del Greco di Tufo nel mondo. Dall’altra la nube reale, fatta di fumo e sostanze non meglio definite, che oggi ha adombrato l’intero capoluogo e la Valle del Sabato, pochi pochissimi chilometri distante da Chianche, Tufo e dintorni.

È il paradosso del nostro tempo. Ritenere che l’ambiente sia una successione di zone, incapsulate e impermeabilizzate le une rispetto alle altre. Fondamento della validità di quel principio secondo il quale una cosa può essere fatta, but not in my backyard (non nel mio giardino). È il paradosso di un’epoca nella quale modernità e modernizzazione non camminano di pari passo, per cui spesso impianti obsoleti compiono lavorazioni complesse e delicate, e impianti futuribili non riescono a superare le diffidenze. È il paradosso di una provincia che ha bisogno di lavoro e per la quale un’azienda devastata da un simile rogo, costretta necessariamente a far ora ricorso alla cassa integrazione, rappresenta un dramma sociale oltre che ambientale. Lo stesso paradosso per il quale un po’ più a est della provincia, tra Morra De Sanctis e Conza, si ha un pudico timore a verificare da dove grondi il mercurio che sta infestando l’Ofanto da qualche mese. Perché il lavoro serve e alzare le barricate contro un eventuale reo imprenditore significherebbe mettere a rischio l’occupazione.

Ma è pure la triste realtà di un’area, la Valle del Sabato e Pianodardine, che ha visto nel dopo terremoto una industrializzazione eccessiva. Migliaia di metri quadrati di capannoni sorti in maniera confusa, a due passi dal casello autostradale e dalla ferrovia (successivamente depotenziata), e diventati parte integrante della città. Casermoni e case popolari che si confondono con gli stabilimenti, scuole e uffici e attività commerciali, tanta grande distribuzione e logistica in continuità con le fabbriche pesanti. Una situazione che ad altre latitudini sarebbe accettabile, ma qui gli standard di sicurezza per lavoratori e cittadini sono ancora troppo spesso disattesi, non di rado per logiche criminali. Un caos urbanistico totale al quale negli anni si sono sommate bombe ambientali: lo stoccaggio delle ecoballe, gli scarichi aerei e gli sversamenti a terra non sempre adeguatamente controllati (come raccontano le cronache), la carcassa putrida per l’amianto della ex Isochimica. E lì vicino vigneti e noccioleti.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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