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Rifugiati, famiglie, bambini: nel paese dell’accoglienza

In un paesino di confine, tra le province di Foggia e Avellino, non ci sono barbieri. La lacuna potrebbe essere presto riempita da un ragazzone libanese che, dicono, sia anche molto bravo nel taglio di barbe e capelli. I suoi figli e quelli di altre due coppie frequentano regolarmente una pluriclasse. Le pluriclassi sono necessarie nelle realtà ad alto tasso di spopolamento, l’unico modo per tenere aperti gli istituti: e qualche bambino in più è un’occasione di crescita, in ogni senso. Ché poi i bambini imparano prestissimo l’Italiano, basta qualche mese… Vivono tutti nella stessa struttura, nel centro del paese e accanto alla scuola. Siamo aMonteleone di Puglia, mille anime tra pale eoliche e distese verdi. Mille anime e per adesso quindici ospiti immigrati nel centro Sprar, ma il numero è destinato ad aumentare. La loro vita è cambiata in meglio. C’è chi è fuggito dal Medio Oriente pensando di trovare rifugio in Venezuela. Ma lì altre persecuzioni. E dal Sud America fino in Svezia, dove però quel qualcuno non è riuscito a restare più di qualche settimana. E allora giù al Sud. A Bari, poi a Monteleone. Un’odissea. La loro vita è cambiata in meglio, quella di Monteleone non è certo peggiorata. Come altri paesi della Daunia, ma pure dell’Irpinia, Monteleone di Puglia è abitato da anziani che ora convivono con due famiglie nigeriane, una libanese, due ragazze somale, una ragazza e un ragazzo dal Ghana. Con bambine e bambini, con altri figli che potrebbero arrivare per il ricongiungimento. Con figli che stanno per nascere. “I bambini sono il vero collante“, ci spiegaClaudia Rigillo, operatrice del centro. “Hanno contribuito a far superare l’inevitabile diffidenza iniziale. Come si fa a non voler bene a loro?“, dice indicando la piccola Sharon e il vivacissimo Alì. “Questa diffidenza iniziale– aggiunge Claudia –non era legata a forme di intolleranza ma al fatto che una popolazione prevalentemente anziana poteva trovarsi spiazzata di fronte a culture completamente diverse. Col tempo ognuno sta trovando il loro equilibrio. E molti stanno trovando una tranquillità dopo aver attraversato il mare, il mondo e la violenza”.Claudia lavora con gli immigrati, come altre e altri da queste parti. E il lavoro va al di là delle competenze. E’ un lavoro continuo nel ricercare una sola cosa: la vivibilità. Come è noto, ma meglio ribadirlo, i rifugiati non possono restare più di un determinato lasso di tempo in un centro Sprar. Alla fine devono diventare autonomi. Qui non è che ci sia un’offerta di lavoro esaltante, ma spesso non c’è neanche una grande domanda perché i più giovani emigrano. E allora il rifugiato trova le occasioni che altri non cercano. Sembra strano, ma qui succede. La scelta di sistemare tutti in un unico grande alloggio è certamente particolare.Il sindaco Giovanni Campese(nella foto in basso) ha optato per la casa “Piroscafo Duca d’Aosta”, centro collettivo che prende il nome dalla nave che utilizzarono gli abitanti di Monteleone per emigrare negli States. “Quella di ospitare le famiglie si è rivelata la scelta giusta per un piccolo paese come il nostro –dice-. Abbiamo messo a disposizione il centro, moderno e funzionale alle esigenze deinostri ospiti. Insomma, la condizione di questi paesi è difficile, come è difficile quella degli immigrati. Ci veniamo incontro, cerchiamo di vivere il paese a seconda delle nostre possibilità. E’ anche per questo che ho aderito ad un progetto, Willoke, che sta riempiendo le nostre mura di bellissimi murales”. Gli immigrati frequentano corsi di italiano, come impone la legge. C’è un piccolo orto sociale, altri progetti educativi che prevedono corsi di cucina o musica. Culture molto diverse, quella mediorientale e quella africana, che si incontrano anche tra i fornelli. Inserite nella Daunia ai confini con un’Irpinia dove un dibattito sempre aperto: sui paesi che si spopolano e l’accoglienza di famiglie e minori. Un’accoglienza poco sperimentata fino ad ora. A Monteleone di Puglia pare funzionare.

Redazione IrpiniaPost

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