La ex Palcitric è un enorme monumento al fallimento della legge 219/81. L’emblema dei problemi irrisolti delle aree industriali dell’Alta Irpinia e non solo. Stabilimento chiuso, sotto curatela fallimentare. Circa due anni fa iniziò la battaglia di quei movimenti ambientalisti che ora hanno preso le redini dell’amministrazione comunale. Si mosse tutto il paese e non è un modo di dire. Si protestò per i rifiuti pericolosi presenti all’interno dell’opificio. E per quelli sotto terra, si disse. Ci si oppose a un’azienda, la Eco Energy System di Lioni, che voleva rilevare il complesso per farci tra l’altro riconversione di rifiuti. Ma gli imprenditori furono di fatto “scacciati” dal paese. Da allora poco si è mosso. L’inchiesta della Procura di Avellino è ancora in piedi. I rifiuti pericolosi presenti tra i capannoni sono anche stati “caratterizzati” e “inertizzati” (in parte dallo stesso imprenditore che poi non è riuscito a rilevare la fabbrica). Ma dove sono quei materiali? Ancora dentro. Chi li smaltirà? Beh se lo stanno chiedendo in molti, c’è la concreta possibilità che debba occuparsene proprio il Comune di Calitri. Non meno di 100mila euro il costo previsto. Una bella rogna. Parliamo di quelli visibili, che venivano dalle stesse attività della Palcitric. Di altri rifiuti (magari di dubbia provenienza o da terra dei fuochi) non c’è traccia a quanto ci è dato di sapere ufficiosamente. In ogni caso l’immenso monumento è ancora lì. Gigantesco, arrugginito, spaventoso. Una storia recente dell’industrializzazione irpina. Una storia da manuale di burocrazia industriale in un’area impiantata al confine tra Campania e Basilicata. A soli tre chilometri dall’agglomerato di Calitri sorge poi l’area industriale di Nerico, a cavallo tra il comune di Pescopagano e quello calitrano. Sei lotti per complessivi 176mila metri quadrati e una capacità occupazionale prevista, sulla carta, di 344 persone. Secondo i dati dell’Asi nel 2014 lavoravano 59 addetti. Due lotti liberi, tre occupati da altrettante aziende chiuse: la Mapier Sud srl, la Vega srl e la El.Co. spa. Resta attiva solo la Starcell, insediata nel 1994, che occupa quasi il 27% della superficie totale dell’area e dà lavoro a oltre 50 dipendenti impiegati nel settore metalmeccanico nella produzione di pannelli a nido d’ape di alluminio. MA CALITRI E’ UNA BILANCIA, A OGNI CRISI CORRISPONDE UNA RISALITA I Calitrani illusi e abbandonati dallo Stato hanno trovato e stanno trovando le energie tra i privati. Se la comunità sopravvive è solo grazie alla comunità stessa. Chiuse le fabbriche, intuizioni geniali come quella di Emma Basile hanno consentito al paese di aprire le case del centro storico a inglesi o americani e finire sulle copertine delle riviste del “buon vivere”. Certo, questo non può bastare a compensare centinaia di posti di lavoro persi. Ma intanto i ristoranti e gli agriturismi godono di ottima salute. Aziende casearie e salumifici sono sempre più apprezzati (vedi Valenzio o Di Cecca). L’artigianato resiste e aziende come quella di Salvatore Caruso è una piccola rivincita calitrana nel settore della moda e del tessile. Come l’industria, è in crisi anche una “Fiera Interregionale” che va scemando in partecipazione popolare e in aziende espositrici. Ma a riequilibrare le presenze estive ci pensa da tre anni Vinicio Capossela e lo Sponz Fest. Ormai il festival è un evento, in grado di far echeggiare il nome Calitri nel corso di tutto l’anno (con tutti i benefici connessi). La terza edizione si presenta il 30 giugno a Expo.
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