Il Consiglio dei ministri ha impugnato un passaggio del collegato alla Stabilità regionale della Campania che metteva al sicuro i territori ricchi di acque dal rischio trivellazioni. Il provvedimento, salutato con soddisfazione da politica e comitati No triv, era stato approvato lo scorso marzo dal Consiglio regionale. I moviti dello stop? La Costituzione stabilisce sulla materia energetico-ambientale la potestà legislativa concorrente Stato-Regioni e quindi la Campania non può decidere da sola, ma attraverso un’intesa forte con Roma. Non solo: secondo il Consiglio dei ministri il parlamentino campano avrebbe commesso anche un altro errore equiparando le attività di estrazione a quelle di ricerca. “Come si temeva – è la nota delcomitato No Trivellazioni petrolifere in Irpinia-Gesualdo– impugna la legge regionale della Campania n. 10 del 31.3.2017, introdotta per la salvaguardia dei bacini idrici dalle trivellazioni, per la violazione dei principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e di «governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Tale provvedimento riapre la questione Petrolio ponendo ancora una volta a forte rischio trivellazioni e petrolizzazione l’Irpinia delle acque, delle produzioni di qualità e dell’ambiente sano”. “Non possiamo non segnalare che – continuano gli attivisti – purtroppo la Regione in passato non ha mai dato applicazione al piano di tutela delle acque (D.lgs n. 152/2006 artt. 122 e seguenti). Tale mancanza, più volte denunciata dal Comitato, ha legittimato la concessione dei Permessi di Ricerca anche in aree interessate dai grandi bacini idrici. Cosa succede adesso? Si ritorna al punto di partenza. Chi salverà l’Appennino dallo sfruttamento scriteriato del territorio? La politica degli affaristi e dei venditori di fumo o una ferma presa di posizione della Società Civile? A questo punto non si può che optare per la seconda ipotesi”.
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