Un bar ci vuole, perché anche quando non ci sei resta lì ad aspettarti. Un bar vuol dire non essere soli, dalle periferie ai paesi. E fa nulla se adesso quel bar sembra un aeroporto, con la segnaletica orizzontale e verticale. E non fa niente se sul tavolino manca ancora la Gazzetta da sfogliare, tanto non c’è sport da seguire e commentare. E non c’è nemmeno il tavolino in verità…
E ci possiamo accontentare anche del caffè nel bicchierino di carta. Possiamo pure sopportare la disposizione perentoria: “Non si può consumare al bancone, nemmeno se il bancone è esterno”. Ci vogliono cinque secondi per buttar giù il caffè ma va bene, andremo a consumarlo a pochi metri di distanza…
E fa nulla se non potrai più soffermarti col barista e dire “Domenico, voglio un caffè ma una cosa sfiziosa. Non so se una Vecchia Napoli o con la nocciola bla bla bla (altre chiacchiere, altre riflessioni) Sai che c’è? Fai tu, a piacere tuo. Sperimenta, vai di fantasia bla bla bla”. E parlare, parlare, risfogliare la Gazzetta. E rinunciare agli infiniti riti. Ognuno di noi ne ha almeno un paio. Quello di sbattere la bustina di zucchero sul bancone, quello di girarsi verso la tv per seguire un tg prima che il caffè venga servito, chiedere l’acqua prima, parlare o stare in religioso silenzio. Quello di appoggiare chiavi, telefono, bolletta, accendino, pacchetto di sigarette, fede nuziale, pacchetto di fazzolettini, occhiali da sole sul banco. O quello di restare rigido e composto senza stravaccarti o utilizzare il banco come il comodino della tua stramaledettissima camera da letto (sì, odio la categoria “poggio tutto sul bancone”).
Tutto questo non c’è ancora, ma i bar stanno lentamente riaprendo e io ho le prove. E non è solo il caffè a cambiare la prospettiva. E’ che tutto sembra diverso con un bar aperto. E’ il bar a darti il senso del ritorno alla normalità, anche se in molti casi il bar chiude al crepuscolo inaugurando le ore del coprifuoco autoimposto. E se questo ritorno sia o meno definitivo, beh si vedrà.
Intorno al bar che a Sant’Angelo dei Lombardi ha riaperto per l’asporto le distanze vengono rispettate e tutti hanno le mascherine. I giovanissimi camminano a gruppi ma gli assembramenti e le adunate vengono sciolti dall’autorità; autorità che da queste parti non manca e puntualmente arriva a ricordarti che no, non è ancora il ritorno alla normalità.
Un paese ci vuole, non fosse per il gusto di andarsene via e ritornare a casa con un mezzo sorriso un po’ forzato. Con la convinzione di aver fatto un passo in avanti verso la Fase 0, col rischio di aver fatto un passo indietro verso la Fase 1 (non si sa mai). Alle 19.30 le ore d’aria finiscono e tutti tornano sui divani che hanno accolto le genti per due mesi o nelle cucine che hanno visto ogni sorta di esperimento culinario.
La preoccupazione per presente e futuro esiste, altroché. Ma per molti era il bar l’ancora di salvezza, il porto sicuro in cui rifugiarsi dalla disoccupazione, dall’ansia e dai pensieri, dalla moglie, dal marito, dai figli o dai genitori. Un bar ci vuole, ci sta poco da fare.