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‘Voto dannoso. Unica conseguenza la perdita di lavoro’

Napoletano d’adozione e lucano d’origine. Membro della direzione nazionale Pd, l’anno scorso responsabile comunicazione del partito. Renziano della prima, della seconda e della terza ora. Francesco Nicodemo sostiene le ragioni dell’astensione in vista del referendum del 17 aprile. Ha già definito “fuffa” gli argomenti del “sì”. Lo abbiamo sentito. Francesco, la posizione sul referendum del 17 aprile sta creando tensione tra il Pd e i circoli del Pd “No Triv”. Una tua considerazione. Questo fa parte della dialettica politica, ma credo che alle persone più che della tensione tra Pd e circoli “No Triv” interessi soprattutto sapere il referendum del 17 aprile cosa riguarda. Ai cittadini in sostanza verrà chiesto se intendono o meno fermare impianti già attivi nelle acque territoriali italiane alla scadenza delle concessioni, sebbene nei giacimenti sottostanti ci sia ancora petrolio e soprattutto gas. Per me una scelta di buon senso è quella di utilizzare le risorse nazionali di cui disponiamo, dal momento che queste attività vengono svolte secondo norme di salvaguardia e di sicurezza ambientale molto rigide. La campagna referendaria ha preso a volte una piega ideologica. Positivo, negativo o fisiologico? Questo referendum ha molteplici chiavi di lettura. Sembrerebbe riguardare questioni di carattere ambientale, ma in realtà concerne in modo particolare la politica energetica del nostro Paese con ricadute sul versante occupazionale e degli investimenti. Voglio ricordare che è stato proposto non con una raccolta di firme ma da 9 Consigli Regionali che avevano presentato 6 quesiti, di cui soltanto uno è sopravvissuto al vaglio della Cassazione dal momento che il Governo era intervenuto con l’ultima legge di Stabilità. Si sente parlare strumentalmente di trivelle ma in realtà appare evidente quello che ha recentemente affermato anche il Presidente del Consiglio, ovvero che si tratta di una battaglia politica delle Regioni: rispettabile ma non di buon senso. Dal mare all’Appennino. Secondo te c’è il rischio (o l’opportunità, a seconda delle visioni) che con un ostacolo sulle ricerche in mare le compagnie spostino l’attenzione sulle aree interne del Paese come Irpinia e Sannio? Le cose non sono collegate. Il referendum riguarda impianti offshore presenti nel mare Adriatico settentrionale, e poi in Calabria e Sicilia. A costo di essere ridondante, io penso che questo vada evidenziato con molta chiarezza. Altrimenti si corre il rischio di confondere le persone. Se dovesse vincere il sì? In gioco c’è il futuro delle piattaforme già in attività e dei lavoratori impiegati nel settore oil and gas e nel suo indotto. Questo è in gioco. Questa sarebbe la diretta conseguenza del sì. Tu conosci bene Basilicata e Campania. Pensi che Irpinia e Sannio abbiano potenzialità turistiche e di sviluppo che eventuali pozzi petroliferi annullerebbero? Si continua a parlare di petrolio e trivelle proprio in vista dell’appuntamento di aprile ma il prossimo referendum riguarda giacimenti in mare, entro le 12 miglia, in attività soprattutto nell’Adriatico e da cui si estrae prevalentemente gas. Precisato questo, lo sviluppo del Sannio e dell’Irpinia passa attraverso la valorizzazione del suo territorio delle sue eccellenze, dei suoi prodotti e dei suoi incredibili talenti. Su questo non ho dubbi.

Redazione IrpiniaPost

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