‘A Bisaccia per Loris Rossi, no agli outlet del turismo in Alta Irpinia’

Da Bisaccia ai libri di architettura, dalla città “gentile” per Francesco De Sanctis alla Casa del Portuale a Napoli. Aldo Loris Rossi, un architetto italiano, era innanzitutto un irpino. Scomparso lo scorso giugno, era nato proprio a Bisaccia dove ha firmato diversi edifici e quartieri, alcuni rimasti incompiuti. E’ stato tra i massimi esponenti dell’architettura organica in Italia. Le immagini delle sue strutture, realizzate nella città di Napoli, sono state di recente utilizzate anche nei video del misterioso rapper Liberato. E adesso, venerdì 24 agosto, la sua cittadina natale gli tributerà un omaggio con un convegno al quale prenderanno parte, tra gli altri, il presidente Aiac Luigi Prestinenza Puglisi e il presidente dell’Ordine degli Architetti di Avellino, Erminio Petecca.

Architetto Petecca, a Bisaccia per ricordare la figura di Aldo Loris Rossi. Sarà una prima occasione per riprendere e ridare visibilità al suo lavoro?

Il professore Rossi era personalità eccentrica, poco identificabile in una corrente artistica specifica, la cui opera è stata sicuramente di carattere nazionale se non addirittura internazionale. Noi oggi risentiamo della sua perdita e cercheremo come Ordine degli architetti di Avellino di condividere tutte quelle iniziative positive e utili a valutare e rivalutare il suo lavoro. Lo abbiamo fatto già con la figura del professore Venezia, nostro conterraneo ancora vivente, di Lauro e siamo disponibili a farlo anche per Aldo Loris Rossi.

Il valore del pensiero e dell’architettura del professore bisaccese, potremmo dire, oggi è rafforzato dall’attualità di alcune sue considerazioni, quando sosteneva che bisognasse liberarsi della “spazzatura urbanistica post bellica”. E’ il tema di questi giorni, quello dell’abbattimento o della manutenzione di ponti, viadotti, degli stessi edifici. 

Rossi faceva effettivamente riferimento a quelle opere che hanno trasformato le nostre città realizzate a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 in pieno boom economico. Si pensò a rimettere in senso un’Italia distrutta dalla guerra e ciò innescò un processo di ricostruzione o nuova edificazione accelerato. Spesso con il risultato di manufatti architettonici nelle periferie discutibili sotto il profilo estetico o della fattura. Io però sono convinto che nella situazione nella quale ci troviamo, di un Paese che vive una nuova crisi migratoria, senza entusiasmo, dove alcuni lavori manuali nessuno vuole più farli e vengono affidati agli stranieri, siano maturi i tempi per ricostruire città e luoghi. E’ il tempo di ritornare a investire in questo settore e se necessario anche di produrre nuovo debito. Mi spiego: se posseggo delle abitazioni, ma non ho denaro per metterle a posto, o mi indebito ma rendo funzionali quelle case oppure continueranno a degradarsi. Io penso sia necessario fare uno sforzo e però intervenire. In tal senso sto lavorando a una proposta da presentare a livello provinciale, di un piano di intervento, corredato da dati statistici che spero di poter condividere a breve. 

Altro tema di cui spesso stiamo discutendo, anche questo caro a Rossi, sono le periferie. Non solo metropolitane, dove si corre il rischio di vivere in discariche sociali, ma pure quelle rurali. Le periferie delle periferie. Le cosiddette aree interne, i territori marginali. La provincia di Avellino, e l’Alta Irpinia di Rossi, rientrano in questa categoria di luoghi dove si è ricostruito senza le persone, si è spesso recuperato senza utilità, dove non ci sono necessariamente quartieri dormitorio, bensì paesi dormienti.

Il tema dell’abbandono delle aree interne contro un’eccessiva concentrazione nelle città metropolitane è stato anche oggetto a luglio del nostro intervento, come Ordine, al congresso nazionale. Abbiamo portato all’attenzione dei colleghi di tutta Italia i casi dell’Alta Irpinia, del Sannio e del Cilento. Le zone marginali della nostra regione, appunto. Ma mi permetto di dire che voi in Alta Irpinia avete una marcia in più, anche se forse chi la abita non riesce a percepirlo fino in fondo perché o è costretto in prima persona ad andare via o vede altri farlo. C’è però una vivacità culturale che la bassa Irpinia, la Valle Caudina da cui io provengo, non hanno. Anche se magari sono aree commerciali. E’ la vitalità che vi porta ad avere manifestazioni interessanti come lo SponzFest o le iniziative di Franco Arminio. Come Ordine guardiamo con attenzione a tutto questo, anche se magari non apparendo in prima linea.

Una vitalità relegata però soltanto ad alcuni periodi dell’anno, in particolare ai mesi estivi. Poi tutto ritorna uguale a prima e per chi vive questi luoghi sorgono problemi come la scarsità di servizi. La fuga dai paesi diventa la soluzione più facile. L’architettura può dare un contributo per invertire questa tendenza?

L’architettura può essere un grande punto di forza, che gioca a nostro vantaggio. L’architetto deve essere il narratore delle bellezze dei luoghi, il loro rappresentante, e l’Italia è un Paese il cui patrimonio di bellezze riesce ancora a catalizzare un certo interesse internazionale. L’entroterra ha tanti motivi di richiamo. Parlando nello specifico dell’Alta Irpinia, avete prerogative splendide come tradizioni antiche, un’ottima enogastronomia, paesaggi e una messa a fuoco con campo larghissimo. Difficilmente l’obiettivo della mia macchina fotografica, in terra altirpina, incrocia o viene limitato dalla presenza di un abuso edilizio o un capannone. C’è una profondità nelle immagini. Tutto questo è un potenziale enorme. Certo però dobbiamo evitare alcune cose.

Per esempio?

Il principale rischio è di diventare degli outlet del turismo, dei luoghi per il solo fine settimana che il lunedì mattina si richiudono in attesa del weekend successivo. Il modello albergo diffuso, che si sta diffondendo, è discutibile perché va corretto, liberato dalle mistificazioni utili a captare una certa economia ma destinate a durare poco nel tempo. Chi viene qui deve trovare, oltre a luoghi e tradizioni recuperate, anche un prodotto culturale valido. Vista la bassa densità demografica i borghi abbandonati sono più facili da recuperare, ma vediamo di lavorare per evitare pacchianate.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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