‘Centrali in Alta Irpinia? Serve chiarezza’

Nei giorni scorsi abbiamo colto l’occasione di una discussione sui social network per approfondire un aspetto del Progetto Pilota, cioè la possibilità contenuta nel testo della Strategia di sviluppo elaborata dai 25 sindaci altirpini di utilizzare il patrimonio forestale dell’Alta Irpinia per la produzione di energia (leggi qui l’articolo). Materia un po’ tecnica, ma non trascurabile, soprattutto per chi da anni si batte ad esempio contro le ipotesi di trivellazioni o il proliferare delle pale eoliche in Irpinia d’Oriente. Le centrali a biomasse forestali sarebbero una nuova fonte di inquinamento? Oppure l’energia può essere un’opportunità occupazionale in più per un territorio che lotta a fatica contro lo spopolamento? Parola quindi a Luigi Iavarone della Iavarone Legnami di Calitri, e delegato di Confindustria al tavolo della Comunità Alta Irpinia. La sua è una delle tre aziende che stanno portando avanti il progetto Filiera Legno in Campania, recepito dai sindaci proprio nella Strategia altirpina.

 

Ingegnere, lei ha letto il nostro approfondimento e ci ha contattati per alcune precisazioni. Dica pure.

Il suo articolo pone una giusta questione trovandomi perfettamente d’accordo sulle conclusioni alle quali giunge. E’ necessario tuttavia essere cauti e parlare di energia con accortezza. La mia è una sana preoccupazione che deriva dall’amore che nutro per l’Alta Irpinia, un’area nella quale siamo presenti ormai da trenta anni. Non vorrei che si finisca per aprire la strada a chi vuole cospargere il territorio di centraline per la produzione energetica. Per noi vengono prima la chimica verde e il legno d’opera, poi il legno base (produzione di pannelli, semilavorati, costruzioni, x-lam ndr) e infine la produzione di energia per le comunità locali.

Quindi quest’ultimo non è sicuramente l’aspetto caratterizzante del progetto che la Iavarone Legnami e altre due aziende (Rubner Horzbau e Il Pilaccio) hanno proposto al tavolo del Progetto Pilota?

Il concept del nostro progetto, che lei aveva diligentemente linkato nel suo pezzo, tocca più aspetti. La Filiera Legno in Campania prevede uno spazio residuale per la produzione di energia che di contro costituirebbe un sottoutilizzo della risorsa legno. Leggendo invece il passaggio della Strategia per l’Alta Irpinia che lei ha riportato, laddove si parla di “sfruttamento delle biomasse forestali per produrre energia (termica ed elettrica) per le comunità locali”, sono preoccupato che la risorsa legno possa essere utilizzata a scopo energetico su larga scala. Oltre a rilevare che il termine sfruttamento è semanticamente inappropriato: sarebbe meglio parlare di valorizzazione delle biomasse forestali.

Sta dicendo che, poiché il progetto Filiera Legno in Campania è solo uno dei possibili modi di gestione e utilizzo del patrimonio forestale altirpino, potrebbe esserci una volontà che prescinde dai vostri obiettivi?

Dico che anche quando abbiamo dato spazio all’eolico non c’era una volontà precostituita di farlo proliferare, ma come accaduto allora può verificarsi oggi che si perda il controllo sull’elemento innovativo. Facciamo quindi attenzione quando parliamo di energia elettrica. Mi riferisco in particolare ai rischi che potrebbero nascere nella gestione del patrimonio pubblico forestale: sappiamo che i Comuni spesso hanno difficoltà finanziarie per il taglio delle risorse ordinarie. Non vorrei che sindaci con problemi di bilancio vengano assaliti da interessi legittimi e disseminino il territorio di centraline. In Calabria sta già avvenendo che le centrali esistenti acquistino materia prima altrove e la vendita di quella irpina è un altro rischio da evitare.

Da dove nasce il cortocircuito tra le vostre intenzioni e ciò che il testo della Strategia predica? In fondo siete stati tra gli attori ascoltati dall’assemblea dei sindaci.

Non so se c’è stato un cortocircuito, preferisco parlare di annacquamento con un’attenzione eccessiva per l’energia, mentre sarebbe stato più giusto ampliare la parte relativa alla bioeconomia.

In particolare, a quale tipo di attività ci riferiamo?

Noi vorremmo gestire il patrimonio forestale per realizzare in Alta Irpinia, in accordo con il collegato ambientale 2017, una Oil Free Zone, una Green Community e il marchio Made Green in Italy. Saremmo tra i primi in Italia. Nell’economia circolare c’è una gerarchia di utilizzo a cascata e la trasformazione a scopo energetico arriva soltanto alla fine del processo. Nella Strategia non si fa accenno a chimica verde o legno base, spero che successivamente si possa fare chiarezza e mettere degli argini. Faccio un esempio: a Sant’Angelo dei Lombardi c’è un laboratorio e campo sperimentale donato tempo fa dal Rotary in gestione alla facoltà di Agraria della Federico II. Noi ci stiamo impegnando per il suo potenziamento perché può dare un contributo alla ricerca in materia di chimica verde. Questo termine non deve impressionare. Con chimica verde si intende un approccio industriale diverso che punta alla riconversione di vecchie tecnologie in processi puliti, non tossici per l’uomo e l’ambiente, e alla progettazione di nuovi prodotti eco-compatibili, come le bioplastiche totalmente compostabili. Non parliamo quindi soltanto di legno. Ecco, io vorrei realizzare una no oil community in Alta Irpinia. Non so quali poteri forti andremo a toccare, ma voglio provarci ugualmente.

Intanto, a che punto siamo? A marzo la firma, ad oggi qual è la novità?

Abbiamo selezionato la tipologia di castagno ed è già in fase di prova presso la Rubner Horzbau.

Quindi, anche in assenza dei fondi del Progetto Pilota state ugualmente procedendo? Ricordiamo che le risorse non sono ancora materialmente arrivate, anche perché l’accordo di programma quadro tra Governo, Regione e Città Alta Irpinia non è stato ancora firmato.

Certamente. Resto convinto che questo non sia più il tempo di attendere un destino, ma che sia ora di cogliere le opportunità. Bisogna avere una buona idea, capace di reggersi da sola; dopodiché possiamo sforzarci di trovare risorse ordinarie o straordinarie. Ma dico senza arroganza che non possiamo più restare in attesa dell’intervento pubblico. È necessario un cambio di prospettiva e in Alta Irpinia credo sia possibile realizzarlo. Dobbiamo farlo adesso però. Qui su un territorio leggermente più grande di quello di Napoli insistono circa 55mila abitanti a fronte dei 3,5 milioni dell’area partenopea. Basterebbe creare 1000 posti di lavoro con 20 aziende da 50 dipendenti oppure 10 da 100. Non sono numeri difficili da ottenere: bisogna però provarci senza imporre modelli metropolitani a un contesto che metropolitano non è.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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