“In provincia di Avellino le politiche di austerità adottate dai Governi, succedutisi nel corso di questi anni, e la applicazione ragionieristica del Piano di Rientro hanno prodotto effetti drammatici sul Sistema Salute, pubblico e privato accreditato, con peggioramento della assistenza e della occupazione”. Inizia così la nota della Cgil sulla situazione sanitaria in provincia di Avellino. Sindacato che sta lanciando una vertenza provinciale.
“I cittadini e i lavoratori della sanità sono da anni ‘ostaggio’ di politiche restrittive caratterizzate da razionamento delle risorse, definanziamento progressivo del F.S.N. e da tagli indiscriminati che stanno pregiudicando il diritto alla salute, come certificato dalla incapacità di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (L.E.A.).
Il Piano di Rientro dal debito sanitario è stato declinato agendo più sui determinanti economico-contabili che sui determinanti di salute, con tagli lineari che hanno interessato tutti i capitoli di spesa in assenza di una analisi che consentisse di colpire gli sprechi, le diseconomie, le inefficienze amministrative e, soprattutto, le cause strutturali del debito.
Nel settore pubblico il razionamento generalizzato della spesa, dal 2007 al 2016, ha prodotto una riduzione di personale superiore alle 800 unità a causa del blocco del turn over, prima parziale e poi totale dal 2010, un precariato diffuso, la chiusura di servizi territoriali ed ospedalieri, la riduzione di oltre 120 posti letto per acuti, lo smantellamento dei servizi psichiatrici, la mancata integrazione del 118 con la rete ospedaliera, l’aumento delle barelle, l’aumento delle liste di attesa, l’aumento della migrazione extraregionale ed il blocco della contrattazione integrativa.
Nella sanità privata accreditata si è accentuato lo squilibrio della offerta tra pubblico e privato,con un incremento delle risorse regionali a vantaggio del privato, talvolta, in assenza di controllo della Regione e della Asl sulla erogazione delle prestazioni accreditate, unitamente alla assenza di regole certe del rapporto tra posti letto ed organici di personale, e “dumping contrattuale” con arretramento nella garanzia dei diritti dei lavoratori.
Il Piano di Rientro ha comportato anche l’aumento della imposizione fiscale, l’incremento dei ticket ed una iniqua compartecipazione alla spesa sanitaria che ha colpito in maniera insopportabile le fasce più deboli della popolazione.
Queste misure invece di favorire appropriatezza, hanno generato iniquità inducendo molti cittadini a non curarsi oppure a rivolgersi al privato assicurando meno introiti al S.S.R. Per questi motivi si ritiene necessario, e non più rinviabile, abolire i ticket e tutte le forme di compartecipazione alla spesa sanitaria.
In provincia di Avellino, gli studi condotti sulla assistenza sanitaria evidenziano, qualora ce ne fosse ancora bisogno, un peggioramento progressivo di tutti gli indicatori di salute ed assistenziali che certificano, in maniera inequivocabile, che il “risanamento della sanità” ha prodotto risultati solo sul fronte contabile, con un contenimento dei costi ed un miglioramento economico ottenuto facendo pagare un prezzo altissimo ai cittadini ed ai lavoratori in assenza di un miglioramento della qualità della assistenza erogata.
I recenti dati pubblicizzati dal Ministero della Salute sui L.E.A.2015 nelle Regioni ha certificato per la Campania un primato negativo di proporzioni inimmaginabili, un punto sotto i 100, un livello mai raggiunto da nessuna regione, nemmeno nel 2007 quando la Campania è entrata nel tunnel prima del Piano di Rientro e poi del Commissariamento: nella sostanza significa che il cittadino che si ammala nella nostra Regione ha un doppio svantaggio rispetto ad un cittadino di una altra regione italiana. Tale dato è confermato per la provincia di Avellino.
Questo dato drammatico è ulteriormente avvalorato dalla analisi congiunta dei dati ISTAT e di quelli forniti dall’Istituto Superiore di Sanità, dal CREA (Consorzio per la ricerca economica applicata alla sanità), dal rapporto OsservaSalute e dal Rapporto 2015 dell’Osservatorio civico sul federalismo in sanità che mettono in evidenza una serie di dati negativi molto preoccupanti:
A questo quadro già disastroso si aggiunge la quotidiana e drammatica situazione che in provincia di Avellino si registra nei servizi di emergenza sanitaria, espressione delle criticità strutturali insite nel Sistema Salute, che rappresenta il risultato di politiche sanitarie scellerate le quali hanno reso non esigibile il diritto costituzionale alla salute ed hanno mortificato il lavoro in sanità di tanti professionisti.
I Pronto Soccorso ed i servizi di emergenza sono divenuti i luoghi simbolo dove si manifesta il fallimento di politiche sanitarie restrittive e sono evidenti i danni provocati dal contenimento dei costi: un disastro annunciato!
Luoghi dove si negano diritti costituzionali, quali il diritto alla salute ed il diritto al lavoro, e dove si offende la dignità dei cittadini e quella dei lavoratori.
L’inaccettabile ed incivile aumento del numero di pazienti in barella nei P.S., in Osservazione Breve e nelle Unità Operative afferenti al Dipartimento di Emergenza in attesa di ricovero per indisponibilità di posti letto, la assenza di un percorso territoriale definito per le patologie tempo-dipendenti in emergenza che consenta al paziente di ricevere interventi appropriati nei tempi giusti nell’ospedale più attrezzato, la desertificazione della assistenza territoriale incapace di fornire risposte adeguate al bisogno di salute del cittadino e la assenza di una rete efficace, sono la prova degli effetti devastanti prodotti dalle politiche di austerità attuate nel corso di questi anni e dello scollamento tra narrazione mediatica e realtà.
La assenza di disponibilità di posti letto per i ricoveri è collegato al continuo e progressivo taglio di posti letto per acuti determinato dalle politiche neoliberiste, ma anche dalla assenza di governo dei percorsi assistenziali dei pazienti dai P.S. alle competenti unità operative di degenza e dalla assenza di specifici piani di gestione per il sovraffollamento, vale a dire di adeguati protocolli per rispondere in maniera concreta alle situazioni critiche.
La dotazione organica di personale assegnata ai servizi di emergenza sanitaria, le barelle in dotazione ai P.S., i posti in osservazione breve ed i posti letto in Medicina di Urgenza non sono dimensionati rispetto al numero di accessi ed al bacino di utenza, come suggeriscono le principali Società Scientifiche, ma sono sottostimati a seguito della applicazione di decreti e/o deliberazioni (D.C.A. n°67/2016) che perseguono esclusivamente il contenimento dei costi con inevitabili ricadute negative sulla qualità delle cure in emergenza.
Il D.C.A. n° 67 del 2016, infatti, risulta essere del tutto inadeguato per calcolare il reale fabbisogno di personale del S.S.R. necessario a garantire i L.E.A., al punto che la FP CGIL ne ha chiesto la sospensione proprio per gli effetti negativi che produce nei servizi ospedalieri di emergenza sanitaria (P.S.–O.B.I.–Medicina di Urgenza), laddove il personale assegnato ai servizi risulta sottostimato ed insufficiente con inevitabili percussioni negative sulla appropriatezza delle prestazioni e sui percorsi di cura in emergenza-urgenza.
E’ evidente che qualsiasi processo di riorganizzazione della sanità presuppone una dettagliata analisi dei bisogni sanitari della popolazione, dei dati epidemiologici e di quelli relativi alla migrazione sanitaria e alle liste di attesa per definire un cronoprogramma di interventi in grado di riorganizzare i servizi per rispondere in maniera efficace alla domanda di salute della popolazione della Campania al fine di coniugare la garanzia dei L.E.A. ed il diritto costituzionale alla salute.
E’ naturale che qualora si riconvertano alcuni presidi ospedalieri, i quali per volumi di attività non sono in grado di garantire sicurezza ai cittadini ed ai lavoratori, bisogna stabilire tempi certi di attuazione dismissione/riconversione, nonché la contemporaneità tra dismissione di funzioni ed attivazione di servizi, evitando la politica dei due tempi che molto spesso ha penalizzato interi territori e depauperato intere comunità di una rete assistenziale efficace.
E’ necessario programmaree realizzare interventi che consentano di governare risposte appropriate ai bisogni di salute, sostenuti da investimenti tecnologici, strumentali e da dotazioni organiche adeguate al fabbisogno assistenziale.
Considerato che nel corso del Piano di Rientro per assicurare le attività assistenziali si sono utilizzati gli istituti contrattuali del Lavoro Straordinario e delle Prestazioni Aggiuntive, con un incremento esponenziale della spesa sostenuta, per garantire una quantità di personale correlata con le reali esigenze assistenziali basterebbe quantizzare il costo relativo alle Prestazioni Aggiuntive ed al Lavoro Straordinario al fine di finanziare l’assunzione di ulteriore personale aggiuntivo rispetto alla dotazione organica determinata attraverso un preciso e trasparente percorso metodologico basato su evidenze normative e scientifiche.
E’ necessario realizzare i Dipartimenti Integrati di Emergenza (D.I.E.) territorio-ospedale che insistono su un determinato bacino e che consentano la rotazione del personale nei diversi servizi per assicurare la formazione continua, una buona utilizzazione delle risorse ed una efficace risposta assistenziale. La proposta di creare una Agenzia Unica Regionale del 118, vale a dire di autonomizzare dal punto di vista giuridico, amministrativo, tecnico-organizzativo e formativo uno delle due componenti del Sistema di Emergenza Sanitaria, è velleitaria e non risolve i problemi, perché frammenta la unitarietà del percorso assistenziale in emergenza, non garantisce la integrazione territorio-ospedale né l’utilizzo appropriato delle risorse economiche.
L’ ALPI, introdotta per assicurare al cittadino il principio della libera scelta del professionista dal quale farsi curare, si è trasformata in una scelta condizionata da “uno stato di necessità”. Infatti, oggi è comunemente utilizzata per ridurre il tempo di attesa della prestazione sanitaria ed accedere prima alle cure necessarie da parte dei cittadini più abbienti con incremento delle disuguaglianze di accesso alle cure.
L’allungamento dei tempi delle liste di attesa è divenuto uno strumento discriminante il bisogno assistenziale e rappresenta l’emblema della negazione di un diritto costituzionale.
La Campania ha regolamentato la libera professione intramoenia, ma nonostante ciò le Aziende hanno difficoltà nel governare, anche attraverso i CUP aziendali, l’equilibrio tra volumi di attività istituzionale e volumi di attività della libera professione, nonché le procedure inerenti le prenotazioni ed i tempi di attesa.
L’Emilia-Romagna nel 2013 ha adottato un regolamento nel quale si prevede che il mancato rispetto dei volumi di attività istituzionale concordati ed il perdurare di lunghi tempi di attesa comportano la sospensione dell’attività libero professionale fino al rientro dei tempi nei valori standard fissati che costituiscono un diritto del cittadino.
Considerata la situazione in provincia di Avellino, la Regione deve approvare una norma che preveda l’obbligo di sospensione automatica dell’attività intramoenia, da parte delle Aziende Sanitarie, quando i tempi di attesa prospettati ai cittadini siano inferiori rispetto ai tempi di attesa della attività istituzionale.
Queste sono le questioni che attendono di essere affrontate in un confronto da troppo tempo disatteso, perché da anni si assiste ad un deficit partecipativo che è una questione molto delicata che riguarda le regole stesse della democrazia.
Queste sono le proposte che la CGIL avanza alla Azienda Ospedaliera Moscati ed all’Azienda Sanitaria locale di Avellino per affrontare i nodi strutturali che giacciono irrisolti da anni in attesa di un confronto di merito per un nuovo modello assistenziale che riorganizzi, riqualifichi e migliori il Sistema Salute al fine di rispondere in maniera efficace ai bisogni sanitari dei cittadini e che, poi, consenta in sede di contrattazione di valorizzare le giuste aspettative professionali dei lavoratori che dovranno sostenere ed attuare il cambiamento.
Non è più tollerabile che si assumano provvedimenti senza un costruttivo confronto con le parti sociali, le organizzazioni confederali ed i cittadini, perché quelle decisioni determinano scelte che investono le attese ed i diritti costituzionali dei cittadini e le concrete condizioni di lavoro degli operatori del settore.
Considerato che il sistema è al collasso dal punto di vista assistenziale e che la salute della popolazione è fortemente compromessa al punto da configurarsi come un vero e proprio “stato di emergenza” è necessario ristabilire una alleanza tra cittadini e lavoratori che conduca ad un patto di azione congiunta attraverso la promozione di “Comitati per la difesa del diritto costituzionale alla salute e per la trasparenza in sanità”.
CGIL FP CGIL FP CGIL MEDICI SPI FEDERCONSUMATORI
Fiordellisi D’Acunto Nicchia Meninno Lieto
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