Ultime notizie

Dino Fracchia, fotografo della tragedia e della ricostruzione in Irpinia

All’indomani di quel maledetto 23 Novembre 1980 furono tanti i giornalisti e i fotografi che si precipitarono in Irpinia per raccontare e immortalare i momenti più importanti della tragedia. In pochi, però, sono tornati anche nei decenni successivi a documentare in modo approfondito anche tutto ciò che è successo “dopo”, con la ricostruzione. Dino Fracchia, fotoreporter freelance, è uno di questi.

Ha 30 anni quando, da Milano, si mette in viaggio per raggiungere i luoghi del terremoto: «Le notizie che arrivavano erano poche e frammentate. Insieme ad un collega, saltai a bordo della mia Renault 4, che non superava i 90 Km/h in discesa. Arrivammo in Basilicata. Solo giunti lì ci dissero che l’epicentro era più a Nord, così ci rimettemmo in marcia».

Fracchia vede e fotografa tutto il centro del cratere. Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Conza della Campania. «In Irpinia non era la mia prima volta con una tragedia di quella portata. Ho iniziato col disastro di Seveso. Ero reduce dal terremoto nel’76, in Friuli. E, in generale, erano anni in cui, in Italia, purtroppo, non ci si annoiava».

Siamo abituati, o forse sarebbe meglio dire assuefatti, a scatti patinati delle tragedie. Anche di quell’evento circolano ormai sempre le stesse – note – immagini delle macerie, mosse da una volontà estetica che, se da un lato ha un intento poetico e celebrativo, dall’altro pone una distanza che aumenta con il passare degli anni e rende le fotografie della catastrofe, sempre più mediate attraverso uno schermo, cristallizzate nel passato.

Poi, arriva il lavoro di Dino Fracchia che, anche a distanza di 40 anni, mostra il dolore e le contraddizioni come se tutto fosse accaduto soltanto ieri. I cadaveri, il loro recupero, anche a colori e senza fronzoli. E la stridente opposizione tra le nuove costruzioni e un’Irpinia ancora ferma al “prima”: palazzi candidi e splendenti  in mezzo ai ruderi; strade asfaltate che tagliano terreni brulli senza indicazioni. «Per me, fu l’unica scelta di racconto possibile. Ho iniziato i miei primi passi in questo mondo come dipendente di un giornale, L’Unità. È stata la sola, prima di diventare un’indipendente, ma per me è stata una grande scuola. Ho imparato il mestiere attraverso le esigenze di un quotidiano. Non si può far finta che i morti non ci siano. La mia estrazione professionale è lontanissima da qualsiasi discorso sulla dimensione estetica o artistica».

– terremoto in Irpinia (novembre 1980)

Fracchia ancora non lo sa, maquando Epoca, che tra gli anni ’80 e ’90 è tra i settimanali più in voga, gli chiede di tornare in Irpinia per documentare la ricostruzione, lo rende testimone di gran parte di quelle che passeranno alla storia come le “cattedrali nel deserto” degli sprechi e delle speculazioni: «Ho ritrovato una situazione fuori di testa. Condizionamenti politici fortissimi e architetti che non avevano la minima cognizione di quelle che erano le condizioni locali. Ricordo di aver parlato con un signore di Bisaccia, in merito alle nuove palazzine che avevano tirato su, tra l’altro dopo moltissimo tempo. Gli chiesi se fosse soddisfatto e lui mi rispose “Abbastanza”. Allora lo incalzai: perché non lo era completamente? E lui mi disse che avevano costruito le case tutte rotonde, comprese le stanze, e lui che aveva i mobili quadrati non sapeva cosa farsene».

– ricostruzione in Irpinia dopo il terremoto del 1980, case popolari a Bisaccia

Questo è un esempio che potremmo definire “simpatico” ma che per Fracchia è la spia di quanto non ci fosse stato contatto con la realtà preesistente: «Ho visto interi paesi completamente delocalizzati, ricostruiti sulle paludi, alzando muri di contenimento in cemento che tradivano ciò che questa terra era prima. In Friuli è stato ricostruito tutto il più possibile com’era prima del crollo, da voi no. Per non parlare di chi si è arricchito con i contributi statali per mettere le industrie, in una terra a vocazione agricola, che alla fine degli anni ’90 non erano ancora mai state realmente avviate».

A 40 anni di distanza, alla vigilia di celebrazioni che una cifra simile richiede che siano “all’altezza” del tempo trascorso, Dino Fracchia pensa che, invece, il miglior modo di onorare questo triste anniversario sia solo uno: «Stare zitti. Una tragedia va ricordata e basta, non commemorata con cerimonie e fasce tricolori. Soprattutto per rispetto di chi l’ha vissuta sulla propria pelle».

Rosaria Carifano

Giornalista nonostante tutto, autrice per caso. Insegno danza e cerco cosa abbiano in comune un corvo e una scrivania.

Recent Posts

Al Cimarosa in scena ‘Il matrimonio segreto’

Il Conservatorio di Avellino, presieduto da Achille Mottola e diretto da Maria Gabriella Della Sala,…

1 settimana ago

Statale 90bis, al via lavori su ponti e viadotti

Lungo la strada statale 90bis “delle Puglie”, nell’avellinese, Anas ha avviato nuovi lavori di manutenzione…

1 settimana ago

Amministrative Avellino: D’Andrea incontra la gente, Fdi su Iandoli

Oggi, presso la sala del Gamea Cafe di Piazza D'armi ad Avellino, incontro aperto al…

1 settimana ago

Fiera Venticano, fiamme nella notte in uno stand: muoiono pulcini

La squadra dei Vigili del Fuoco del distaccamento di Grottaminarda, alle ore 05.38 di oggi…

1 settimana ago

Festival delle Radici, Ricciardi: ‘Sviluppo sostenibile borghi spopolati’

“L’emigrazione rappresenta il tratto identitario dell’Italia: un fenomeno che ha interessato milioni di persone dai…

2 settimane ago

Forum Giovani Campania, insediate 10 commissioni

“Giovani per la Campania” questo è il titolo dell’evento promosso dal Forum regionale dei Giovani…

2 settimane ago