‘La bellezza non basta’, la Avellino-Rocchetta verso il futuro

Sono stati davvero tanti, forse persino troppi, gli spunti venuti fuori dalla giornata studi sulla Avellino – Rocchetta, promossa venerdì dal segretariato regionale del Mibact e dal Dipartimento di architettura della “Federico II” di Napoli con il patrocinio di Fondazione Fs e Consiglio regionale della Campania. L’appuntamento si è tenuto al Museo ferroviario di Pietrarsa, una location suggestiva: per la vista spettacolare sul golfo di Napoli, le isole e la penisola sorrentina, ma pure per i tanti gioielli della ferrovia custoditi al suo interno. Tra le locomotive a vapore e le carrozze dei reali, risulta difficile non fare un salto indietro con la fantasia a un tempo ormai lontano, nel quale oltre un secolo fa nasceva la Avellino – Rocchetta.

Alla fine dell’Ottocento la provincia di Avellino, che nell’Italia post unitaria vantava un ministro dell’Istruzione di tutto rispetto, quel Francesco De Sanctis di cui quest’anno si celebra il bicentenario della nascita, era un’area del Paese anonima quanto o più di altre. “…venga la ferrovia, e in piccol numero d’anni si farà il lavoro di secoli”, scrisse non a caso il critico letterario irpino nel suo “Viaggio elettorale”. La ferrovia venne e portò sicuramente la civiltà. E’ stato più volte ricordato in questi anni di battaglia per la sua riapertura che essa veniva utilizzata per il commercio verso Napoli dei prodotti irpini, o che fu il mezzo attraverso il quale far arrivare a Lioni i soccorsi in occasione del terremoto, mentre le strade erano interrotte e i paesi annichiliti. Fu strumento per l’emigrazione, anche questo è noto.

Non stiamo qui a ripercorrere le tappe della sua storia. Il presente ci dice che questa strada ferrata è tra le 18 individuate a livello nazionale come turistiche, grazie a un lavoro portato avanti dal Parlamento e dall’Alleanza per la mobilità dolce. E’ anche la prima in Italia a essere interessata da un provvedimento di tutela storico-paesaggistico sul quale hanno lavorato tre soprintendenze e l’Università di Napoli. Sono binari senza tempo, per utilizzare una definizione cara a Fondazione Fs, sui quali la Regione Campania ha deciso di investire 20 milioni di euro per ripristinare l’intero percorso, mentre il ministero per i Beni culturali e il turismo approvava un Piano strategico per la mobilità dolce e decideva di proclamare il 2019 Anno del turismo lento, sia esso a piedi, in bici o in treno. Parrebbe quindi improvvisamente che tutti i pezzi del puzzle stiano andando al loro posto, secondo un disegno, una strategia. Non in maniera caotica e causale.

Ma dei punti interrogativi restano. Il primo è stato evidenziato da uno dei principali protagonisti della riattivazione della tratta. “Noi mettiamo il treno e assicuriamo che sia tirato a lustro, che funzioni – ha detto ieri Luigi Cantamessa, direttore di Fondazione Fs – Però che cosa facciamo quando scendiamo dal treno?. E’ la domanda delle domande, sulla quale si è ragionato anche ieri e si sta ragionando a più livelli per mettere in campo una programmazione: dall’area vasta alle associazioni, dall’Alta Irpinia a singoli imprenditori. Domanda preceduta o seguita da un’altra osservazione. Avellino città è fuori dal sistema di trasporto ferroviario regionale e non si può non fare i conti con l’egemonia della gomma“, sono state le parole di Carlo De Vito, presidente di FS Sistemi Urbani. Che anche due addetti ai lavori sollevino queste questioni non è aspetto di poco conto, non possono certo essere rubricate a sfogo di scettici, bensì appaiono come urgenti sollecitazioni.

Si diceva comunque che dalla giornata sono venuti fuori spunti interessanti. Circa 30 gli interventi. Uno è stato fornito da una ricercatrice del Cnr. “Il progetto va reso sostenibile – ha spiegato – in termici economici, culturali e di empowerment delle comunità”. Il che significa che non potrà reggersi in eterno grazie al sostegno di risorse pubbliche e che – è l’auspicio – venga sviluppato un vero e proprio modello di business. E’ anche per questo che non si potrà prescindere dalla collaborazione pubblico-privato, come ha dichiarato il sottosegretario del Mibact Antimo Cesaro. “Essa nasce – ha detto – dalla consapevolezza che la cura di questo patrimonio non può essere affidata alla sola dimensione pubblica. La bellezza non è il solo valore di un bene culturale. L’altra dimensione è la relazione, le risorse umane. Non basta essere belli, dobbiamo far prendere coscienza agli altri della nostra bellezza. Un concetto leggibile tra le righe anche dell’intervento di Anna Donati, presidente di A.Mo.Do. “Per me l’Irpinia prima di conoscere Pietro Mitrione era solo il terremoto”.

Lo abbiamo scritto anche altrove (leggi qui): da 37 anni siamo identificati soltanto per il sisma del 23 novembre e quindi l’operazione da fare per rendere la ferrovia un progetto sostenibile è innanzitutto quella di scardinare questo cliché e provare a non risultare più anonimi. Paradossalmente, partire da “poco”, da una tavolozza di colori non ancora assemblati in dipinto, da un’autenticità derivante dall’essere rimasti ai marginali in quanto area interna, può essere vincente. “Più il territorio è puro, più è attrattivo”, ha detto un convinto Cantamessa.

L’unico limite potrebbe essere l’ostinazione a leggere con le lenti del passato uno strumento che guarda al futuro, il tentativo di applicare al progetto ferrovia o ai progetti ferrovia che dovessero nascere modelli di governance vecchi, che replicano schemi e logiche superate quali campanilismi e partitizzazione. Un rischio rilevabile anche nella sincera preoccupazione del sindaco di Montemarano Beniamino Palmieri, uno dei pochi amministratori presenti ieri. “Avverto la preoccupazione di dover tramutare in pratica le tante cose dette e la difficoltà di tenere tutti allo stesso tavolo”.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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