Da quasi 40 anni la nostra provincia viene identificata con il terremoto, nel bene e nel male. Per la creazione della Protezione Civile e i ritardi nei soccorsi, per la grande umanità dei volontari che si riversarono nell’area cratere e per i milioni di lire e di euro spesi in queste zone per realizzare cattedrali nel deserto o scempi urbanistici. E purtroppo, naturalmente, per le vittime. Probabilmente continuerà a essere così ancora per tanti anni, sia per la portata evidentemente storica del sisma che la colpì, sia per la lunga ed eterna ricostruzione che l’ha caratterizzata. Ancora di più fin quando continueremo ogni anno a mettere in scena autocelebrazioni convegnistiche dei protagonisti della fase “post”, utili al ricordo ma soprattutto alla retorica.
Questo comporta che a chiunque, nelle vesti di turista, vacanziero, emigrante, studente o lavoratore fuorisede, sia capitato di ritrovarsi in qualche angolo d’Italia a dover definire il luogo da cui proviene. “Dall’Irpinia”… e qualche istante dopo: “La terra del terremoto dell’Ottanta”. E’ quasi meccanico in diversi casi. Capita nelle aree universitarie e sui posti di lavoro. Capita ad esempio nella scelta dell’argomento della tesi di laurea: se tocca o almeno sfiora il sisma del 23 novembre, beh, l’interesse per esso cresce in modo esponenziale tra professori e correlatori. Sarebbe bello però, sarebbe utile, e sarebbe soprattutto una grande operazione culturale, economica e di comunicazione riuscire a farci identificare con qualcosa di diverso.
E il paradosso è che questo qualcosa ce l’abbiamo sotto gli occhi. “Irpinia, la terra dell’acqua”. Come il Trentino lo è delle Dolomiti, il Piemonte delle Langhe, come le Cinque Terre lo sono dell’incantevole fusione di monti e mare. Un elemento della natura identificativo in modo incontrovertibile, un biglietto da visita da presentare ovunque, perché di territori con acqua ne esistono altri ma questo è uno dei tre bacini idrografici più grandi d’Europa. 15mila i litri di acqua prodotti al secondo, innumerevoli le sorgenti tra Cassano, Montella, Caposele, Serino e Volturara Irpina. Una unicità presente sotto diverse forme dai fiumi ai laghi, dalle cascate agli acquedotti e alle fontane.
Un’operazione alla quale dovrebbero partecipare soggetti come Acquedotto Pugliese (che però come suggerisce il nome è pugliese e potrebbe non esserne interessato) e Alto Calore, che invece ha il “merito” di essere famoso per ciò che la politica di tanti anni è riuscito a farne, ossia un carrozzone utile a rendite elettorali. Un’operazione però che metterebbe al lavoro, occuperebbe, diverse competenze nella costruzione di una narrazione – termine che va tanto di moda tra noi comunicatori – diversa da quella che finora ci ha contrassegnati e… segnati.
E le basi per questa operazione ci sarebbero. E’ in fase di costruzione un percorso di cicloturismo che prende il nome proprio dall’acquedotto, quello con sede a Bari ma che parte dall’Alta Irpinia. Si tenta di rendere sempre più attrattive le sorgenti, come abbiamo visto in questa giornata Fai di primavera. Esiste appunto una narrazione anche cinematografica dell’acqua in provincia (Il bacio azzurro di Tordiglione). Molto appare ancora in una fase embrionale, quando occorrerebbe concentrarsi dal “basso” (dalle scuole alle amministrazioni, a soprattutto i privati) per pretendere maggiore attenzione dai livelli sovracomunali.