Non ci può essere l’obbligo per i Comuni a gestire funzioni in maniera associata. La Corte Costituzionale, con una sentenza dello scorso 4 marzo, ha inferto un colpo duro alla legge sulle Unioni di Comuni partorita nel 2010. La materia è oggetto di dibattito e polemiche da anni. Così come di rinvii. Attualmente è fissato il 31 dicembre 2019 il termine ultimo entro il quale i Comuni con popolazione fino a 5mila abitanti, o fino a 3mila abitanti nel caso in appartengano o sono appartenuti a Comunità montane, devono esercitare obbligatoriamente in forma associata, mediante Unione di Comuni o convenzione, tutta una serie di funzioni.
Parliamo di varie attività degli uffici amministrativi, oltre a polizia locale, viabilità e trasporti, scuola, sociale. Ma adesso i giudici della Consulta provano a mettere ordine nella vicenda chiarendo che non può essere obbligatoria l’associazione delle funzioni, se i Comuni per ragioni di distanze o altro riescono a dimostrare che non si ricava nessun risparmio. Anzi magari c’è persino una minore efficienza del servizio.
La norma è stata dichiarata incostituzionale precisamente “nella parte in cui non prevede la possibilità, in un contesto di Comuni obbligati e non, di dimostrare, al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, del Comune obbligato, non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento”. Intanto, anche il Governo sta ragionando con un tavolo tecnico sulla questione. L’ipotesi è di ridurre l’obbligo alle sole funzioni fondamentali, come i servizi sociali.
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