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Lioni, la Consulta dichiara ‘guerra’ alla violenza sulle donne

Le scarpe rosse all’ingresso, gli scatti dell’istituto “Vanvitelli” in sala. E poi le note e i suoni dei Makardìa, il monologo teatrale di Clelia e Luigi da Caposele, la mostra “Non chiamatelo Raptus” di Anarkikka, la bacheca dei pensieri. Ieri sera Lioni ha lanciato un segnale chiaro, partendo da diverse forme espressive per arrivare a un unico punto di approdo: la lotta alla violenza sulle donne non può e non deve essere relegata a un giorno segnato in rosso sul calendario, a una giornata in cui incontrarsi, scambiarsi qualche sorriso o piangersi un po’ addosso, ospitare qualche big per il solito convegno.
E’ una battaglia da portare avanti tutti i giorni, facendo rete. Espressione abusata è vero, ma quanto mai necessaria. Perché sentendosi parte di qualcosa ci si scopre più forti, solo percependosi meno sole si acquista la determinazione per uscire allo scoperto e denunciare, ci si vede meno vulnerabili. E la rete si costruisce ogni giorno, grazie al lavoro delle associazioni, delle istituzioni, grazie a legami che persino in una comunità medio-piccola come quella di Lioni a volte diventa difficile tenere vivi.
Le donne di Lioni ieri sera hanno iniziato un cammino con la prima uscita ufficiale della Consulta, istituita lo scorso agosto su impulso dell’assessore alle Pari Opportunità Domenica Gallo. Che ha assunto un impegno: quello di lavorare per prevenire i casi di violenza, investendo la Consulta del compito di fungere da stimolo all’amministrazione comunale, segnalando e facendo sentire la voce di tutte.

 

Da queste parti di femminicidio si parla solo commentando le notizie in tv o sui giornali, ma quante donne ogni giorno vivono forme di oppressione della loro personalità che spaziano dalle botte al “semplice” schiaffo passando per le convenzioni sociali, quelle per quali essere donna ancora oggi significa dover subire il giudizio degli uomini ma pure di altre femmine per un comportamento, un modo di proporsi, un lavoro scelto, un marito lasciato, un vestito indossato.
E’ un problema innanzitutto culturale, lo hanno ribadito in tanti e tante anche ieri sera. Bisogna partire dalle scuole, dai figli di oggi che saranno i fidanzati e i mariti di domani. Bisogna partire dalle figlie, che devono imparare ad amarsi prima ancora di farsi amare. Bisogna anche avere la capacità di allargare lo sguardo perché la violenza su “chi si ama” a volte vede vittime anche gli uomini. Al centro antiviolenza di Sant’Angelo dei Lombardi, ha rivelato Patrizia Delli Gatti, “si è rivolto anche un uomo in questo primo anno”. Stupore in sala, ma è così anche se fa meno rumore. Perciò la battaglia è innanzitutto culturale, cui devono seguire azioni concrete della politica e delle istituzioni. La consigliera di Parità Domenica Lomazzo ha annunciato di aver chiesto all’assessore regionale Chiara Marciani un protocollo con l’ufficio scolastico regionale per lavorare con le scuole. La presidente del Consiglio regionale Rosetta D’Amelio ha invece ricordato di aver firmato di recente il decreto di nomina delle cinque componenti dell’Osservatorio sulla violenza: “Ho chiesto alle assessore della Giunta De Luca, in virtù delle deleghe importanti che gestiscono (fondi europei, bilancio, lavoro ad esempio) di impegnarsi per trovare occasioni di inserimento lavorativo e promozione dell’autoimprenditorialità per chi denuncia”. Perché denunciare significa in molti casi restare sole con figli a carico e di fronte all’impossibilità di essere autonome economicamente, si finisce per ritornare sotto lo schiaffo del marito-padrone.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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