A quattro anni dalla scoperta di un rinnovato interesse delle multinazionali del greggio per l’Irpinia, e l’apertura di quella che è divenuta una battaglia regionale, i cittadini saranno chiamati a pronunciarsi sul referendum voluto da 9 consigli regionali. Dovranno decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia dalla costa, (cioè più o meno a 20 chilometri da terra), debbano durare fino all’esaurimento del giacimento, come avviene attualmente, oppure fino al termine della concessione.
Cade in errore chi ritiene in questa fase che la terraferma e l’Irpinia non siano direttamente coinvolte nel quesito referendario. La questione resta strettamente connessa, sia dal punto di vista normativo (il Governo ha avviato la semplificazione dei permessi), sia dal punto di vista di indirizzo politico. Qui le multinazionali potrebbero avviare ricerche e procedere con le estrazioni di idrocarburi con un solo permesso. In secondo luogo, la materia non è mai stata oggetto di referendum popolare: l’Irpinia è sì estranea alle trivellazioni in mare, ma si pronuncia sulle limitazioni di sfruttamento dei giacimenti, che costituisce un forte segnale politico per il futuro.
Oggi il Progetto Nusco è fermo in attesa che si pronunci il Ministero per l’Ambiente, in merito all’elevato rischio sismico evidenziato in Regione Campania, che rappresenta un grave elemento ostativo, e che è stato avvalorato dal parere negativo ufficializzato dalle Province di Avellino e Benevento, oltre a 45 amministrazioni comunali.
Sono state le Regioni intanto, incalzate dai territori e dalle centinaia di comitati civici e ambientali, a fare fronte comune e pretendere di avere una voce in capitolo sulle manovre decretate dal Ministero per lo Sviluppo Economico durante il Governo Monti, tese ad adottare misure per l’efficientamento energetico. L’obiettivo del Governo era quello di ridurre le importazioni di gas e greggio e avviare una campagna esplorativa interna. L’obiettivo lanciato dall’allora ministro Corrado Passera, era quello di recuperare dalle viscere della terra italiana una parte del petrolio che oggi il Paese è costretto ad importare da ogni parte del mondo, conclamando una sudditanza economica.
(la foto è tratta da www.ecoblog.it)
Il caso irpino è stato sollevato il 27 aprile 2012, dal quotidiano “Ottopagine”. Un titolo lapidario a caratteri cubitali non lasciava spazio di interpretazione: “Si cerca petrolio in Irpinia”. Dopo sessant’anni la provincia di Avellino diventava nuovamente zona di interesse per la caccia all’oro nero. “Il Governo accelera i sondaggi nel Calaggio e nell’Ufita per i giacimenti” recitava il sottotitolo, con chiare indicazioni sul permesso di ricerca depositato dalla compagnia estrattiva e la data di scadenza della concessione. Una scoperta resa possibile soltanto dal gusto della ricerca e dalla curiosità per gli eventi del passato, che ci aveva portato a spulciare prima negli archivi della biblioteca dell’Università Roma 3, poi “fra le carte del Ministero”.
La ricerca illustrata dal quotidiano però, non era stata avvalorata solo dai trascorsi storici di ricerca e trivellazioni in Irpinia, ma anche dall’osservazione di quanto stava accadendo in Basilicata (vicinissima all’Alta Irpinia) per la più grande piattaforma estrattiva d’Europa e nel Vallo di Diano, nel Cilento. Osservando la cartina geografica, i due siti sopra citati si predispongono nella chiusura di un triangolo che si ricongiunge proprio in Alta Irpinia, dove risulta una concessione di ricerca attribuita il 21 ottobre 2010, approvata dal Ministero per lo Sviluppo Economico, Dipartimento per l’energia, Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche per il Comune di Nusco.
Parliamo del “Permesso di ricerca in terraferma” attribuito alla società Italmin exploration Srl, denominato “Nusco”, che comprende una superficie di 698,50 kmq, e coinvolge i comuni di Nusco, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Bagnoli Irpino, Cassano Irpino, San Mango sul Calore, Morra De Sanctis, Montemarano, Torella dei Lombardi, Luogosano, Sant’Angelo all’Esca, Guardia Lombardi, Paternopoli, Fontanarosa, Sturno, Gesualdo, Taurasi, Frigento, Mirabella Eclano, Venticano, Grottaminarda, Bonito, Villamaina, Flumeri, Castelbaronia, Carife, Vallata, San Sossio Baronia, Caposele e Apice (Bn), fra gli altri. La scadenza del permesso di ricerca è stata inizialmente fissata al 21 ottobre 2016 e rappresentava la quota maggiore di interesse della società in Campania, che elencava anche una fascia chilometrica nel beneventano.
Nonostante il clamore mediatico, la richiesta depositata in regione non poteva destare tanto stupore: l’allora consigliere regionale del Pd Donato Pica, aveva inviato una richiesta al presidente della commissione Ambiente in consiglio regionale, per fissare un’audizione sulle autorizzazioni, e fare chiarezza sulla vicenda relativa alla richiesta che aveva presentato la Compagnia petrolifera Shell di effettuare sondaggi esplorativi in otto comuni del Vallo di Diano, citando l’Alta Irpinia, per le implicazioni relative al rischio sismico. Per non parlare poi, delle dichiarazioni sporadiche che apparivano sui giornali rese da amministratori della zona che citavano “rinnovato interesse delle compagnie petrolifere per l’Alta Irpinia”.
Intanto nel 2012, la Italmin Exploration, dopo avere depositato il progetto, ha ceduto l’80% del permesso alla Cogeid. Questo progetto è stato in istruttoria fino al 2014, fino a quando è stato rigettato nel 2014 dagli uffici competenti ministeriali presso la Regione, per carenza progettuale, in particolare per quanto riguarda le norme sulla sicurezza sismica. Da quel momento, il permesso è stato congelato. Nel frattempo è cambiata la norma nazionale: per effetto dello Sblocca Italia, ora Cogeid e Italmin aspettano il parere del Ministero dell’Ambiente, che deve valutare la compatibilità ambientale del progetto con i rischi sismico e idrogeologico.
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