Categories: Spettacoli e cultura

Luca Pugliese in concerto tra i detenuti di Regina Coeli

Un insolito viaggio, iniziato il 13 gennaio 2013 e, evidentemente, non ancora terminato. Quel giorno Luca Pugliese portò per la prima volta la sua musica e i suoi strumenti in un carcere. A quel primo concerto, tenuto a Secondigliano (Na), ne sono seguiti altri undici, tutti gratuiti, per un totale di otto istituti (Rebibbia, Regina Coeli, Opera, San Vittore, di nuovo Secondigliano, Poggioreale, Sant’Angelo dei Lombardi, Benevento, Ariano Irpino) e un pubblico di circa 10.000 detenuti, quasi un quinto dell’intero popolo carcerario.

Un’iniziativa solidale, o meglio, una missione sociale, compiuta a difesa della dignità della persona e che punta il dito sullo stato allarmante delle nostre carceri e mette in gioco il ruolo sociale dell’arte.

Il 29 ottobre, dopo una lunga pausa, il progetto “Un’ora d’aria colorata” – è questo il nome che l’artista campano ha scelto per la sua tournée musicale nelle carceri d’Italia –, riprende slancio e si arricchisce di un’ulteriore tappa, il terzo concerto nel carcere romano di Regina Coeli.

Ad accompagnare il frontman dei Fluido Ligneo nella sua sorprendente e ormai consueta performance di chitarrista, cantante e percussionista a pedale, ci sarà il maestro chitarrista Salvador Puerto Gonzalez. Variegatissima la scaletta messa a punto dal duo: un affascinante viaggio sonoro orchestrato sul raffinato e armonico intreccio di sonorità e ritmi occidentali, mediterranei e latini, canti tradizionali del Sudamerica e musiche popolari del Suditalia, classici della canzone napoletana, brani del repertorio dei Fluido Ligneo rivisitati in chiave latin, pezzi storici della tradizione cantautorale italiana.

La dignità dell’uomo è un diritto universale che non ammette deroghe, e l’arte è un diritto di tutti – dichiara Pugliese –. La musica è aria dipinta. Portare la mia musica in luoghi dove tutto è troppo poco e troppo stretto mi ha reso vivo e mi ha fatto sentire utile al mondo. Più che musica amplificata, quella di cui faccio dono nelle carceri d’Italia è una musica amplificatrice: una musica che funge da amplificatore di un disagio, tanto palese a tutti quanto stagnante nel dibattito politico. Sono più che mai convinto che se vogliamo migliorare il nostro Paese, dobbiamo cominciare dal basso, recuperando e riabilitando chi ha sbagliato, e che ciò non è solo doveroso, ma è anche possibile. L’effetto ristoratore e “liberatorio” che l’arte riesce ad avere in luoghi come il carcere, insegna che spesso basta poco per fare del bene a chi sta male. Se tutti dessero qualcosa gratis per alleviare la sofferenza altrui, sicuramente il mondo sarebbe più in armonia con se stesso. Spero che la mia ora d’aria “colorata” sia da esempio per tutti gli artisti che si ritengono tali. Del resto, la funzione sociale dell’arte non è certo una mia invenzione.

 

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