Morire di convegnite nel segno del De Sanctis

Davvero qualcuno pensa che la casa del De Sanctis, situata nella sua Morra, possa diventare celebre come la dimora di Leopardi a Recanati? O che turisti possano giungere nei pressi delle finestre dell’illustre scrittore-critico-politico irpino per fotografarle, come succede a San Pietroburgo sotto l’immaginaria e reale finestrella di Raskol’nikov? O che le mura morresi, già imbrattate, diventino il nostro balcone di Giulietta? Non lo pensa nessuno o perlomeno speriamo sia così. Ma tra le righe di convegni, proclami e iniziative varie per il Bicentenario della nascita di Francesco De Sanctis qualche dubbio sorge. Un dubbio su tutti, che qualcuno voglia farsi e generare illusioni su un possibile turismo culturale da queste parti…

Ci ha pensato lo stesso Gerardo Bianco, presidente di uno dei molteplici comitati per le celebrazioni, a spazzare via un po’ di equivoci. “Non vogliamo celebrare il De Sanctis né attualizzarlo, vogliamo studiarlo”. Un’affermazione che rende quantomeno più chiara la mission di un comitato. Bianco ha parlato della necessità di rivolgersi a tutta la Penisola, alle scuole, per un’imponente opera di riscoperta.

Intanto le celebrazioni sono cominciate con una Morra De Sanctis agghindata per l’occasione sugli schermi del tg3. Continuate con visite guidate e costumi. Quindi un assaggio di percorso turistico. In questa storia – e per un attimo diamo ragione a Bianco – anche le già flebili prospettive per un flusso di visitatori devono poggiare necessariamente su un grandissimo lavoro culturale. De Sanctis non è attrattivo come Elvis, Morra non è Graceland. Ovvio che si debbano coinvolgere le centinaia di scuole che prendono il nome dall’irpino illustre. Ma è probabile che si possano coinvolgere quelle e poco altro. E che l’opera di riscoperta resti una gita di qualche universitario, di studenti portati per mano a conoscere l’ignoto.

Siamo partiti male però. A ridosso del 28 marzo, data di nascita del Nostro, si svolge un convegno uno e trino. In soldoni lo stesso convegno ma in tre momenti differenti, in tre luoghi diversi ma più o meno con gli stessi relatori. Senza contare gli incontri dei giorni scorsi di un altro comitato, quello provincial-regionale, che muoveva da Avellino su binari paralleli. Un record, nel nostro piccolo mondo già saturo di convegni. Sì, lo fanno. Gli equivoci nati dalla frammentazione in più comitati – con annessi enti, amministrazioni e una galassia di altri soggetti – produce dunque il caos.

La confusione di ruoli e di intenti causa danni ai timidi tentativi di portare un po’ di persone sul borgo, nei borghi. Un sogno di per sé già improbabile perché non siamo a Recanati; perché De Sanctis, con tutto il rispetto, non ha l’appeal di Giacomino e non ce l’avrà neanche con tutti i fondi pubblici da qui a 37mila anni. E un approccio di tipo turistico risulta complicato anche perché, è una linea condivisibile o meno, si deve e si vuole fare cultura in senso stretto.

Allo stesso tempo la cultura in senso stretto, quindi lo studio e gli studiosi all’opera, ma anche il coinvolgimento degli studenti, non sembra affatto un modello vincente. Si rischia per esempio la morte per convegnite. E qualcuno potrebbe giustamente pretendere un ritorno concreto dopo tutto questo clamore. La cultura, diciamolo pure chiaramente, fatta così diventa sterile e finanche odiosa.

Il punto, e arriviamo alla fase propositiva, è che questo Bicentenario dovrebbe diventare l’occasione per costruire qualcosa di stabile, duraturo. Un centro studi, un centro di formazione di livello. Comunque una struttura fisica. Anche una sala, un palazzo dove i giovani morresi, e gli altirpini in genere, possano trovare un rifugio diverso dal bar. E dove però non debbano necessariamente produrre tesine sul ‘viaggio elettorale’. La figura del De Sanctis dovrebbe, e forse siamo ancora in tempo, diventare la molla per una mini-rivoluzione culturale che parta dalle più elementari basi di ogni località normale. Coi ragazzi che abbiano semplicemente i luoghi per leggere, crescere, suonare, fotografare, dipingere. Un cazzo di luogo – e scusateci ma ci vuole – che possa durare più del classico progetto pubblico finanziato per l’occasione e destinato a morte rapida. Una casa-rifugio della cultura per l’Alta Irpinia, magari con il contributo materiale dei vari Comuni e degli enti che si stanno dannando per chi porta il baffo più bello. Anche con il contributo morale, possibilmente discreto, dei professori tanto impegnati tra mille tavoli. La lanciamo così, sapendo che il riscontro sarà pari a zero. Ma ci saranno tempi e modi per ribadire queste idee. Stranamente sembra che il Bicentenario durerà tre anni..

Giulio D'Andrea

Direttore responsabile di Irpiniapost, classe 1978, si laurea in Giurisprudenza a Perugia e si perfeziona in Psicologia forense a Genova. Mostra subito insofferenza per i tribunali e soprattutto per le cancellerie. Inizia il percorso giornalistico nel 2006, lavorando su carta stampata, internet e televisioni tra Campania e Lazio. Attualmente collabora con il quotidiano “Il Mattino”. Leggeva molto e suonava anche di più, poi la visione ossessiva delle serie Tv gli ha impedito di continuare.

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