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Nessuna ricetta magica, nelle aree interne bisogna ripensare gli spazi

Di Enzo Tenore, architetto

Da ieri siamo alle prese con la vita a contatto con l’immanenza di un pericolo, il contagio: possiamo immaginare, idealizzare, disegnare nuove relazioni, soddisfare altri bisogni, costruire dispositivi, aggiustare quello che si è rotto, fornire soluzioni a richieste urgenti. Ma chi si occuperà veramente della questione, chi potrà disegnare un assetto diverso da quello attuale? Quale strategia possiamo mettere in gioco per prepararci alle prossime “interferenze” che la Natura insinuerà nel nostro sistema di vita “autoreferenziato”?

Nel paese in cui vivo, Aquilonia, popolato da circa 1500 abitanti, prevalentemente anziani, molte case vuote e una densità di circa 1 abitante per 4 ettari di terreno, la chiusura imposta dal lockdown ha interessato poche attività commerciali, la maggior parte delle quali sono essenziali. Nessun caso Covid registrato fino ad ora.

Più che pensare a dimensionare lo spazio d’uso di un ombrellone o le postazioni in classe dei bambini o le platee di teatri e cinema o il dehor di un bar – soluzioni transitorie che pure servono ma saranno dismesse dalla vaccinazione di massa a cui saremo, di qui a qualche mese, sottoposti – è forse il caso di occuparsi di azioni a lungo termine, che ci trovino preparati per le prossime calamità.

Quindi forse quelle classi non vanno meglio compartimentate ma addirittura dislocate; oltre che lavorare a portare pezzi di città in casa: parti di una scuola, di un giardino, di un orto, di un supermercato, di un ufficio, di una palestra (cosa che oltretutto può permettersi solo una ristretta sezione sociale alle attuali condizioni), forse dovremmo pensare anche di spostare parti di città in Appennino e ovviamente parti di Appennino in città.

Se le università, gli ospedali, gli istituti di ricerca, i laboratori, la produzione ad alta componente tecnologica, se la fibra, le autostrade, l’alta velocità, ma anche solo la ferrovia ordinaria, provassero a salire in Appennino, se ogni comprensorio di paesi, quelli più lontani dalla costa (che in Italia significa stare a 150 km circa dal mare), avesse nuclei di eccellenza della produzione, della formazione, dell’istruzione, se avessimo eccellenza dei servizi sanitari, della mobilità, probabilmente non avremmo necessità di emigrare, i ragazzi, le intere famiglie che si sono spostate in città, ritornerebbero ai loro averi, ad vivere le loro case. Rivaluteremmo un capitale immobiliare enorme. La prima ondata di esodo che ha allarmato i governatori delle regioni del sud ha messo in evidenza le cifre del controesodo che si potrebbe attivare.

L’architetto adesso più che mai deve occuparsi di disegnare processi più che progetti, provare a cucire nuovi abiti agli abitanti di questo Pianeta, forse costruire nuovi abitanti, recuperare cioè il senso più profondo dell’abitare che non è fatto solo di metrica, standards ma di rapporti, evocazione, equilibrio, proiezione e introiezione, relazione. Dobbiamo tutti, non solo gli architetti, nel nostro piccolo cluster, immaginare la nostra Rivoluzione, scrivere il nostro Manifesto che vada a comporre il Manifesto di una Rivoluzione più grande, condivisa, globale.

Dobbiamo provare a gestire una forma di autarchia condivisa, in fondo il modello italiano era questo: una moltitudine di città (eccellenti) che stringono relazioni sul territorio e basano la propria forza sulle risorse territoriali, non chiudere i nuclei abitativi ma rafforzarli, aprirli ad uno scambio equo. La ridondanza, insita anche nel Dna della nostra Italia come nel nostro corpo, è la strategia migliore per affrontare scenari ad alto coefficiente di rischio con molte variabili di sistema, anche la Nasa utilizza questo metodo per programmare le missioni più audaci: duplicare i servizi, diffondere la qualità, strutturare nuclei abitativi autonomi ma connessi alla rete nazionale/globale, moltiplicare i centri di cura, sapere, ricerca renderà tutti più forti, riequilibrerà le disuguaglianze, distribuirà le pressioni, diminuirà l’impronta ambientale.

Soluzioni mediane, compromesse o balbettate non ci condurranno al mondo desiderato: ricordiamo sempre l’antico monito: In medio stat virus.

Pubblicato integralmente su Cityvisionweb.com

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