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Privacy e salute, come le affronta l’Irpinia

L’argomento è di strettissima attualità, anche in provincia di Avellino dove le comunità sono minuscole, dove tutti sanno tutto di tutti o ognuno cerca di cautelarsi. E’ possibile divulgare il nome del contagiato da Covid-19? Di questi tempi prevale la privacy o le esigenze di salute pubblica? Il diritto alla riservatezza, quindi la sfera della salute del privato, soccombe o meno rispetto alla salute pubblica?

La regola generale parlerebbe chiaro. Il nome dell’interessato, in questo caso del contagiato, non può assolutamente essere diffuso. La regola vale indistintamente per il singolo cittadino, per i media e per la Pubblica Amministrazione. No alla diffusione su ogni mezzo, senza il consenso dell’interessato. Il caso di Sant’Angelo dei Lombardi è emblematico. Qui un medico che ha contratto il virus ha affidato al sindaco una lettera sulle sue condizioni, autorizzando il Comune a divulgare il suo nome. E altri, medici soprattutto, hanno fatto lo stesso; a volte utilizzando i social in prima battuta.

Una volta la normativa riguardava soprattutto i media, oggi ben si estende alle pagine social di un Ente pubblico. L’impressione è che le regole generali spesso non siano sufficienti ad affrontare l’evoluzione del quadro. I giornali possono diffondere i dati personali per far comprendere una notizia di interesse pubblico, anche senza il consenso dell’interessato. Ma è vietata la divulgazione dei dati di interesse strettamente clinico, a meno che la persona non rivesta una posizione di particolare rilevanza politica o sociale. In ogni caso nell’eventuale diffusione si deve rispettare la dignità della persona. Il generico stato di malattia di una persona di una persona nota si può pubblicare quindi, qualora sia di interesse pubblico. Ma non certo i particolari sulle patologie contratte, salvo situazioni particolarissime e necessarie per comprendere la notizia stessa.

E il coronavirus? Ci muoviamo in un campo minato. Le linea che si sta adottando, in campo nazionale e locale, è quella di identificare al limite solo parzialmente una persona contagiata (evitando quindi di riportare nome e cognome), ma soltanto quando per il particolare ruolo professionale, questa abbia avuto contatti con molte persone e che quindi sia potenzialmente un pericolo. Oppure quando si tende a rassicurare la popolazione. Ma è solo una linea.

Rientrerebbe la vicenda di Bagnoli Irpino, dove la sindaca Teresa Di Capua ha fornito qualche indicazione su un contagiato (per rassicurare la popolazione nello specifico). In questo episodio l’interessato, pur essendo residente nel comune altirpino, viveva di fatto altrove ed è risultato facile (anche se ci complimentiamo per la tempestività) chiarire la vicenda.

Le cose si fanno più complesse in presenza di contagiati all’interno della singola comunità. Prendiamo Chiusano San Domenico. Qui il primo cittadino Carmine De Angelis ha pubblicato qualche informazione utile, senza entrare in dettagli anagrafici: “Dei tre tamponi richiesti a tre persone monitorate dal nostro sistema CoC e in quarantena obbligatoria dal 10 marzo solo una risulta positiva. La paziente è già ospedalizzata ed è in buone condizioni”, ha scritto in un post. La risposta ai quesiti iniziali lascia dunque intravedere una strada di mezzo tra le varie esigenze.

Il fronte giornalistico: continua a leggere…

I confini sono già labili e in questo momento ancora di più. C’è il sacrosanto diritto alla privacy. Ma è necessario garantire l’informazione a beneficio di tutti“.

Amedeo Picariello, collega di Itv, è segretario provinciale del Sugc, il Sindacato unitario giornalisti della CampaniaI giornalisti si trovano spesso sulla graticola – spiega -. Ma forse dopo un’iniziale diffidenza dei lettori verso le notizie sul coronavirus, stiamo vivendo un clima diverso, vedo più collaborazione. Anche perché – dice Picariello – il lavoro che stiamo facendo, spesso in condizioni difficili, resta fondamentale. Penso per esempio a quello che accade ad Ariano, ma non solo“.

Privacy e informazione.Il periodo è naturalmente particolare ma ci troviamo in assenza di una normativa particolare. Al di là di quello che avviene sui social, restiamo i divulgatori finali e di massa. Nel caso, paghiamo le conseguenze penali e civili di informazioni non veritiere o che violano i confini. Non mi addentro nella deontologia ma mi sento di fare un appello. Non ai legislatori, che adesso non possono trovare il tempo di occuparsi di privacy ai tempi di coronavirus. Però avvocati e magistrati dovrebbero venirci incontro in situazioni borderline, perché il momento storico è complesso per tutti. Ed ancora – conclude Picariello – il compito primario spetta alle autorità sanitarie nella fase delle analisi epidemiologiche“.

E’ tutto? Assolutamente no. In tempi di Coronavirus privacy e sicurezza abbracciano decine di situazioni. Interessante il dibattito di questi giorni sull’uso dei dispositivi elettronici per tracciare le persone in fuga dalle zone rosse. Aberrante, e accade anche questo, l’uso dei social e della messaggistica finalizzato a diffondere identità di possibili contagiati di cui ci occuperemo.

Un assaggio? A Mercogliano il sindaco Vittorio D’Alessio è stato molto duro rispetto al fatto che la notizia del quarto caso di positività nella cittadina sia stata data alla stampa nel primo pomeriggio e al Comune solo in serata. Ma si è scagliato soprattutto contro gli utenti dei social: “L’ invito alla cittadinanza è di non trascorrere le giornate a fare la caccia ai nomi e ai cognomi dei contagiati, a veicolare immagini e notizie false che superano ogni forma di rispetto per chi sta vivendo un momento delicato“.

Giulio D'Andrea

Direttore responsabile di Irpiniapost, classe 1978, si laurea in Giurisprudenza a Perugia e si perfeziona in Psicologia forense a Genova. Mostra subito insofferenza per i tribunali e soprattutto per le cancellerie. Inizia il percorso giornalistico nel 2006, lavorando su carta stampata, internet e televisioni tra Campania e Lazio. Attualmente collabora con il quotidiano “Il Mattino”. Leggeva molto e suonava anche di più, poi la visione ossessiva delle serie Tv gli ha impedito di continuare.

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