Referendum No Triv, bocciato il ricorso delle Regioni

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promossi dalle Regioni sulla questione delle trivellazioni. I ricorsi riguardavano il piano delle aree, il regime delle concessioni ed erano proposti nei confronti del Presidente del Consiglio, del Parlamento e dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione.

I ricorsi – relativi alle richieste di referendum sulla «pianificazione delle attività estrattive degli idrocarburi» e sulla «prorogabilità dei titoli abilitativi a tali attività» – sono stati bocciati perché, spiega la Consulta, non è stata espressa la volontà di sollevare i conflitti «da almeno cinque dei Consigli regionali che avevano richiesto il referendum prima delle modifiche legislative sopravvenute».

Il passaggio ha natura tecnico-procedurale, ma non è privo di insidie: se fosse arrivato il via libera, le istanze referendarie sarebbero state esaminate nei loro contenuti.

Nei due ricorsi che l’avvocato Stelio Mangiameli ha steso per conto delle Regioni, si sottolinea che già a partire dal 1978 la giurisprudenza costituzionale ha qualificato come potere dello Stato il Comitato promotore del referendum abrogativo.

La Consulta avrebbe dovuto poi esaminare se le prerogative dei promotori siano state lese. I ricorsi, infatti, prospettavano due conflitti per «menomazione», perché «senza usurpare un potere altrui, si impedisce ad altri poteri dello Stato di esercitare serenamente e pienamente il proprio».

«Il governo – sostengono i ricorrenti – è intervenuto con la legge di stabilità per modificare le misure stabilite precedentemente, nello Sblocca Italia, in materia di trivellazioni e giacimenti, ma in realtà “la richiesta referendaria è stata elusa».

Perché «la legge di stabilità abroga» il piano aree, «facendo venir meno ogni forma di programmazione»; e sui titoli di concessione fissa un doppio binario, uno con e uno senza proroghe, che sembra offrire una «apparente opzione», ma in realtà «si risolverebbe sempre a favore dei titoli abilitativi che consentono la proroga», vanificando così l’intento referendario di «far venire meno il regime delle proroghe».

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