Avellino, folla in centro ma i locali non sorridono

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Il locale è quasi vuoto. Ci sono soltanto cinque dei soliti dodici tavoli e uno solo si è riempito, noi ci accomoderemo ad un secondo. La situazione all’esterno è migliore, tutte le postazioni (sempre dimezzate) sono occupate,ma l’atmosfera è irreale. Nessun via vai al bancone, niente musica (potrebbe attirare gente). Perfino i commensali parlano poco e sottovoce tra loro, come se volessero ridurre al minimo le azioni – seppur concesse – senza la mascherina. Ma che sarebbe stato tutt’altro che un ritorno alla normalità, ce ne siamo accorti anche nel tragitto fin lì. La scelta di dove passare il primo, vero sabato sera post-quarantena, quello dei ristoranti di nuovo aperti e degli incontri anche con i non-congiunti, è caduta su un posto lontano dal centro città, nonché l’ultimo che ci aveva ospitati prima del lockdown. Lungo la strada che ci portava al parcheggio, la situazione era molto diversa e il confronto è stato impietoso. I pochi bar che hanno deciso di lavorare, e che avremmo trovato certamente chiusi alla fine della nostra cena per il coprifuoco regionale obbligatorio delle 23.00, hanno l’ingresso illuminato ma le saracinesche delle altre vetrate tutte completamente abbassate, quasi a voler dissuadere gli avventori a entrare. La piazzetta che precede il locale, di solito brulicante di ragazzi, è praticamente vuota. Solo un paio di comitive, a debita distanza e tutte ben dotate di mascherina, si dividono le poche panchine presenti ma hanno gli occhi calati sui cellulari. Diversi amici si fanno sentire durante la serata e ci dicono che è così un po’ dappertutto, anche nell’hinterland. Il copione si ripete quasi ovunque. Pochi tavoli, ancora meno le persone. Solo una zona fa eccezione. La solita. “Al corso di Avellino e all’inizio dei Platani sembra Ferragosto”, ci era già stato detto nelle prime domeniche di Fase 2, e stasera ancora di più. C’è talmente tanta gente che si è spostata dai bar di Corso Vittorio Emanuele – appunto costretti a chiudere presto – ai primi metri di Viale Italia, dove la presenza di rosticcerie dotate di sedute ai tavoli consente il prolungamento dell’orario di apertura, che per gestire la folla arrivano diverse volanti delle Forze dell’Ordine, tra l’indignazione generale degli abitanti della zona che, dai balconi, avevano già diffuso la “vergogna” via social. D’altronde, se da un lato tradizione avellinese vuole che – con l’arrivo dell’estate – alle ore trascorsi in un solo locale si preferisca lo “struscio” nella via principale della città, dall’altro si sono aggiunti altri fattori ad alimentare quest’abitudine che può solo sfavorire i gestori delle attività di ristorazione di capoluogo e zone limitrofe. In primis,tra la gente che ha voglia di uscire di casa (perché molti, legittimamente, non se la sentono ancora) la maggioranza nutre moltissime riserve a stare in ambienti chiusi.Poco importa se ci si vede comunque solo con gli amici più stretti e che si evitino abbracci e strette di mano. Quattro “vasche” al centro consentono di incontrarsi con tante facce conosciute, anche se coperte dalle mascherine, con meno timore di aria ristagnante. Si prende un gelato, una birra, e si esce. E ci si sente autorizzati e sicuri, per il tempo della consumazione, a scoprire anche il volto, senza troppi rischi. E tanto basta a trascorrere una serata. Inoltre, mentre in un locale ci si va appositamente per consumare,passeggiare è gratis. Tra attività chiuse o a rilento; cassa integrazione e bonus mai arrivati; lavori a chiamata, stagionali o – potete scandalizzarvi quanto volete, ma esistono – a nero, perduti; quanti sono quelli che si possono permettere di cenare fuori ogni sabato da questo weekend e per i prossimi mesi? Quanti quelli che possono continuare a foraggiare indiscriminatamente le uscite di figli adolescenti, quindi non lavoratori e non patentati? Se in pre-quarantena era già certamente un lusso per molte famiglie, la percentuale è sicuramente aumentata. Si può godere di un’uscita e degli incontri senza spendere un euro, perché sono davvero in pochi – e ci siamo chiesti in diversi periodi della vita come facciano – quelli che hanno sempre il conto aperto dal barista di fiducia e aggiungono chiamate ogni sera. L’estate ad Avellino aveva sempre innescato la battaglia “centro città vs tutte le altre zone”, al punto che i cartelloni degli eventi estivi erano confezionati con chirurgica attenzione per non lasciare senza opportunità nessun quartiere, poiché il “flusso” di giovani in vacanza, famiglie in pausa e professionisti in libera uscita, ha sempre trovato il suo habitat naturale della bella stagione prevalentemente tra la nuova Piazza Libertà e non oltre il civico 79 di Viale Italia,il famoso “salotto buono”. Uniche eccezioni: gli spostamenti, ovviamente anche quelli in massa, per le varie sagre o gli appuntamenti fissi delle estati in provincia. Tre (o anche quattro) mesi di sofferenza calcolata per molte attività di ristorazione, soprattutto per quelle sprovviste strutturalmente di spazi esterni, che tentavano di restare a galla reinventandosi come posti da aperitivo pre-struscio o per il bicchiere della staffa con un po’ di dj set. L’ansia (legittima) da contagio e le risicate possibilità economiche in cui molti si sono venuti a trovare hanno, di fatto, anticipato questa situazione, aggiungendo altre perdite a quelle già sofferte nelle settimane di lockdown. E così, non possiamo che chiederci, al netto delle decisioni che andranno prese in caso di un nuovo aumento dei contagi, immaginando (e sperando) quindi che tutto resti allo stato attuale delle cose, che succederà a settembre? Quante saracinesche chiuderanno in via definitiva e quanti locali smantelleranno tavoli e insegne? Perché tra fornire nuovamente la possibilità di lavorare e ricominciare davvero a farlo a pieno regime, c’è una bella differenza, e la tanto bistrattata “movida” è un comodo capro espiatorio che fa accendere i riflettori su una piccolissima parte del problema. Sono uscito stasera ma non ho letto l’ordinanza (ed è stato un disastro) comments