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Aree interne, vogliamo agire o fare dibattiti tra intellettuali?

Ministro Provenzano, ci dica una volta per tutte cosa l’Italia vuole fare delle aree interne. Vogliamo usarle per alimentare i dibattiti da quarantena tra intellettuali, architetti e sociologi, giornalisti e antropologi? Teorizzando un futuro che non arriverà, un cambiamento che ancora tarderà. Vogliamo usarle per riempire le pagine dei giornali e dare la possibilità agli abitanti delle città di sognare luoghi che di fatto non esistono? Luoghi come l’Alta Irpinia dove se vuoi vivere, e non per un weekend, devi fare presto i conti con connessioni che rendono un calvario lo smart working, con un sistema di trasporti pubblici inefficiente o quanto meno inaccettabile, con una sanità “arrangiata”. O invece queste aree interne vogliamo davvero metterle in moto e farle partire?

La crisi covid-19 ha innescato una crisi socio-economica di grande portata che vede le diplomazie nazionali e regionali lavorare su tavoli ministeriali ed europei per garantire alle aree del Paese che più hanno pagato il prezzo della pandemia quelle risorse necessarie a rimettersi in piedi. Parliamo di territori altamente produttivi, il motore dell’Italia. Almeno così ci dicono. Per il centro sud, per le aree più indietro sul piano economico e dei servizi, non sarà semplice fronteggiare i tentativi di dirottamento dei fondi altrove. Il rischio è che la bilancia, ancora una volta, possa pendere verso altre realtà per la forza dei numeri (gli abitanti, il Pil) che esse esprimono. E allora non comprendiamo come possano convivere l’esigenza di potenziare la Snai di cui pure lei ha parlato con il far fronte alla crisi nazionale.

“La botta che abbiamo preso ci rende tutti vogliosi di servizi fondamentali. Aumenterà la domanda di beni e servizi di territorialità. Sarà responsabilità di tutti far maturare questa domanda, proponendo una buona qualità di servizi di assistenza alle persone”. Ha detto lunedì Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversità, ospite della Fondazione Innovazione Urbana.

L’economista ed ex ministro, padre della Snai, ha ribadito concetti già noti a chi sta seguendo il dibattito sulle aree interne e sulla Strategia nazionale al tempo del covid-19. Ne avevamo scritto già qui e anche quiLa rarefazione della vita è improvvisamente diventata un bisogno. Alcuni saranno in grado di andare da soli nei luoghi interni dove il distanziamento sociale è naturale, e non consumeranno molto. Altri invece avranno bisogno di essere accompagnati, di servizi di accoglienza, di turismo di prossimità. Per trovare questi territori non c’è bisogno di arrivare in Nepal. Ci sono zone appenniniche dove le terre sono incolte e abbandonate e non si riesce ad applicare il comodato d’uso in favore dei giovani, ad esempio”, ha detto.

E ancora: “Non bisogna inventare cosa devono fare, bisogna liberare le potenzialità delle aree interne. Liberare i processi. Come sulla scuola, dove aprire un nuovo indirizzo o chiuderne un altro richiede tempi lunghi. Il ministro Provenzano (per il Sud e la coesione territoriale, ndr) deve mantenere le promesse che sta facendo di potenziare la Strategia nazionale Aree interne. Deve fare quello che ci chiedono i sindaci”. 

Ci sentiamo di aderire in pieno alle richieste di Barca. Da tempo sosteniamo che la Snai viaggi a passo troppo lento. Lo facciamo soprattutto basandoci sul contesto locale, altirpino. Che le mani per l’azione collettiva dei sindaci e dei privati fossero legate da procedure, leggi, deroghe non derogabili, finanziamenti scarni è evidente da tempo a chi segue la sperimentazione. E non tutto è colpa di chi amministra. Ora però servono scelte chiare, sette anni dall’avvio del programma nazionale sono già passati. Il tempo per rendersi conto dei limiti o delle potenzialità c’è stato, la favorevole circostanza dell’avvio di nuovo settennato di fondi europei è a portata di mano. Se pure questa volta la voce aree interne resterà in fondo agli ordini del giorno delle agende di Governo e Parlamento l’occasione sarà definitivamente sprecata. Inutile prenderci in giro, con buona pace dei Boeri che oggi si accorgono della nostra esistenza.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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