Referendum petrolio, l’Irpinia sarà verde o nera?
Volata finale per il referendum del 17 aprile. Due settimane al voto. Votare sì per dire no al petrolio. Non è esattamente così ma ormai la tendenza è questa. Chi andrà a votare lo farà per preservare risorse come il mare. Per dare un segnale di contrarietà alle politiche energetiche inaugurate nell’era Monti e proseguite con Renzi. Per manifestare contro il Governo anche e soprattutto dopo i fatti recenti. In definitiva si torna al punto di inizio:votare sì per dire no al petrolio. Il raggiungimento del quorum era dato per difficile se non per impossibile fino a qualche settimana fa. Poi l’attenzione è cresciuta, l’argomento è entrato nei talk show. Nel momento di massima attenzione verso la consultazione spunta l’affaire Guidi. Insomma, qualcuno inizia davvero a credere al quorum. Oggi la Stampa pubblica un interessante articolo a firma di Gianni Riotta che fa chiarezza sulla questione petrolio in Italia.La mappa degli idrocarburi (leggi). Nessuno scoop, ma sana e pura informazione. Si nota come i territori nel mirino delle compagnie siano decine e riguardino tutto lo Stivale senza differenza tra Nord e Sud. Tra permessi di ricerca e concessioni la regione più interessata è l’Emilia Romagna seguita da Basilicata, Marche e Lombardia. Insomma, in mare o in terra cambia poco: si vuole cercare il petrolio in Italia, punto.Di qui la natura di questo referendum, come del resto era prevedibile al di là della Guidi (leggi qui). La Campania è la regione meno interessante per i petrolierie i due permessi di ricerca insistono in Irpinia e Sannio. Le zone metropolitane e costiere non sono poi così coinvolte, non direttamente almeno. Facile prevedere un’affluenza blanda da quelle parti, poi vedremo. E’ paradossale ma più che il quorum, in Italia come in Campania e in Irpinia, sarà importante l’affluenza. Insomma, se va al voto il 40% degli elettori, il governo avrà comunque avuto un segnale o un campanello d’allarme. Significherebbe una cosa molto semplice: milioni di italiani si sono comunque mossi e potranno tornare a muoversi. Vorrebbe dire che su alcuni temi lo strumento referendario è ancora potente e potrà essere riproposto.Al contrario, un’affluenza intorno al 20% sarebbe chiaramente un fallimento, nonostante le difficoltà che hanno dovuto affrontare i promotori. In un convegno a Torella dei Lombardi il rappresentate del coordinamento irpino No Triv, Roberto De Filippis, dice: “Guardate che prenderanno la cartina geografica e osserveranno i dati dei territori, uno per uno. Trivelleranno dove la partecipazione è stata più bassa, anche su terraferma”. Chi scrive concorda con questa visione, tutt’altro che complottista. E’ nelle corde, come si dice. Ma allora gli irpini come si comporteranno?Qui si parla quotidianamente di petrolio da 4 anni. Dall’informazione tradizionale ai social, con centinaia di convegni e iniziative. Ne parla il politico e l’attivista, l’agricoltore e l’enologo. Forse i movimenti potevano frequentare un po’ più la strada e fare a meno di qualche convegno, ma davvero non ci sono scuse. Non si può più dire “io non sapevo niente”. Di sicuro si tratta di un’informazione parziale perché nessuno (neanche le compagnie, evidentemente per una scelta consapevole) è stato in grado di quantificare l’eventuale indotto del petrolio e di far nascere un dibattito ambiente-lavoro. Ma c’è poco da sottilizzare adesso.Mancano pochi giorni e scopriremo se l’Irpinia è davvero verde e non nera. Se veramente i suoi abitanti abbiano interiorizzato determinati concetti legati alla sostenibilità. E soprattutto se gli irpini vogliano o meno scommettere su un’identità e uno sviluppo di tipo rural. Tornando al quorum: non è così importante che qui si raggiunga o meno. Per i no triv irpini (inteso come movimento generale che comprende tutti i contrari alle trivelle) sarà importante raggiungere un ottimo risultato tenendo conto dell’affluenza generale. Di sicuro superiore al 30% in ogni caso. Se così non fosse si aprirà una stagione ricca di dubbi.