Il flash mob canoro si diffonde anche in Irpinia intono alle 18.00. Addirittura nella nostra provincia, con densità abitativa simile a quella della Mongolia, qualcuno è riuscito a esprimere e ricevere una botta di vita. “O surdato ‘nnammurato” tra le palazzine di Calitri. L’inno d’Italia e l’inno di Cutugno nelle strade, a Lioni un Sax. Suonano le palazzine delle periferie avellinesi. Intanto l’Irpinia paranoica in trasferta a Bologna esporta la montemaranese.
Per un’ora, la grigia e silenziosa terra si trasforma in un palcoscenico. Non ovunque, non sempre un palcoscenico da fuochi d’artificio. Ma qualche coraggioso ha liberato la propria frustrazione da isolato, questo sì.
Si dice che questo coronavirus ci insegnerà ad essere persone migliori una volta superata l’emergenza. Qualcuno racconta che ai riscopriranno usanze, abitudini di un tempo. Che davvero sarà più bello e naturale restare a casa coi nonni con un sorriso a giocare a carte. O cose del genere.
Beh se dovessi esprimere un desiderio, vorrei che l’Irpinia diventasse una terra un po’ più aperta, anche sguaiata. Che la gente popolasse i balconi senza vergogna. Per prendere il sole o per bere una bottiglia di Fiano o anche due. In libertà, senza questa ansia che ci consuma di non farsi vedere dal vicino. “Ché poi pare brutto ja“. Che poi, pare brutto. Questa è l’espressione che ci rode, ci consuma. Che non ci fa suonare e cantare, che ci impedisce di sorridere. Che ci rende riservati e diffidenti.